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    IL CINEMA DEI GIUSTI - COLIN FIRTH NON È CARY GRANT, EMMA STONE NON È KATHERINE HEPBURN. E “MAGIC IN THE MOONLIGHT” NON È UNO DEI MIGLIORI WOODY ALLEN


     
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    Marco Giusti per Dagospia

     

    Magic in the Moonlight di Woody Allen

     

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    Lo sappiamo da anni. C’è un film di Woody Allen buono, seguito da un Woody Allen pessimo e poi da un Woody Allen così così. Questo Magic in the Monlight, interpretato da Colin Firth e Emma Stone, è il Woody Allen così così. Diciamo carino, grazie agli occhioni di Emma Stone, già fidanzata del nuovo Spiderman, alla grande fotografia di Darius Kondhji, al gran lavoro di scenografia e costume per ricostruire la riviera francese degli anni ’20 affogata nel jazz del tempo.

     

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    Ma sembra quasi un film di Pupi Avati, quando l’idea era di riprendere la magia di Midnight in Paris, spostarla sulla costa, e far funzionare una serie di grandi attori inglesi, da Colin Firth a Eileen Atkins, dentro una tipica commedia alla Woody Allen su spiritismo e magia facendola poi scoppiare come commedia romantica fra i due protagonisti, un inglese un po’ pomposo, alla Cary Grant nei film di George Cukor e Howard Haks e un’americana molto più giovane di lui. Uno dei problemi principali, come ha notato anche Peter Bradshaw sul “Guardian”, è che il personaggio di Colin Firth “è troppo maleducato e monotono, senza charme e isterico. E più che somigliare a un arioso e affabile Cary Grant diventa un cagnaccio ringhioso alla Gordon Brown”.

     

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    E non puoi fare troppa commedia brillante con Gordon Brown. Ma non è colpa di Colin Firth. Diciamo che non si amalgama troppo al tipo di battute che Woody Allen vede come tipicamente inglesi per il personaggio. Ma non puoi essere Noel Coward se sei Woody Allen. E, purtroppo, neppure la deliziosa Emma Stone, che gira gli occhioni per tutto il tempo, ha quella lucentezza da americana del primo 900 di Katherine Hepburn. Così, il film, malgrado tutti gli sforzi di un cast prestigioso e di una ricostruzione di gran classe, si affloscia quando doveva diventare una macchina comica perfetta.

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    Funziona bene solo la zia Vanessa di Eileen Atkins, ma neppure Jacki Weaver e Simon McBurney riescono a inserirsi al meglio in un contesto che non è mai ben amalgamato già nella sceneggiatura di Allen. Sceneggiatura, inoltre, che non punta mai al comico, ma che non è neanche da commedia brillante, visto che si rimane sempre un po’ spaesati. Il personaggio di Colin Firth, Stanley, è un celebre mago inglese, che si esibisce col nome di Wei Ling Soo, chiamato sulla costa francese da una ricca signora inglese, Jacki Weaver, e da un suo amico illusionista, Simon McBurney, per capire se la fidanzata del figlio un po’ stupidotto, Hamish Linklater, ha davvero delle doti da veggente o è una simulatrice.

     

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    La ragazza, Sophie, appunto Emma Stone, è andata a trovare il fidanzato assieme alla madre, Marcia Gay Harden, e dopo una serie di incontri antipatici col mago-investigatore, che pensa che non esista al mondo chi possa leggere nella mente degli altri, riesce non solo a far cambiare idea all’arcigno inglese ma anche a far nascere fra loro qualcosa di romantico, complice anche la zia di lui, Vanessa, Eileen Atkins.

     

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    Malgrado il grande impegno di tutto il cast, comunque, non siamo ai livelli di Blue Jasmine e neppure a quelli di un film che non amo, ma che era molto più riuscito come Midnight in Paris. Meglio del Woody Allen romano, certo, ma sembra sempre il film di un vecchio signore che cerca di ricostruire una magia che se ne è andata coi George Cukor e gli Howard Hawks veramente tanti anni fa. In sala dal 4 dicembre. 

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