Marco Giusti per Dagospia
luca marinelli diabolik
Ne sto parlando da ore. Non ci sono possibilità. “Diabolik” dei Manetti bros, sicuramente il loro film migliore, il più artistico, il più astratto, il più ossessivamente legato al loro progetto di cinema bis e alla dipendenza dal fumetto anni ’60, o è un disastro, il più brutto film dell’anno, come ho letto e sentito, da parte di molti, o è il miglior film italiano dell’anno, come mi ha detto anche Luca Guadagnino, mettendolo in un altarino assieme a “A Chiara” di Jonas Carpignano.
miriam leone luca marinelli diabolik
Intanto, credo non dovesse essere trattato come un potenziale blockbuster da schiaffare a Natale, meglio portarlo a Venezia come film d’autore, anche fuori concorso, perché lo è.
Magari al posto di “Freaks Out” di Mainetti, che non era assolutamente da Venezia, dove è stato inutilmente massacrato dalla stampa americana.
diabolik manetti bros
Magari da Festa di Roma, come lo fu Jeeg Robot. Magari da Cannes, dove sarebbe stato in sintonia con “Titane” di Julia Ducournau nella lotta contro il vecchiume da cinéphiles. Ma “Diabolik”, ripeto, nel bene e nel male, è un film che Marco e Antonio Manetti, hanno attentamente curato fino all’ultimo dettaglio, assieme a Mario Gomboli, l’unico depositario del “come si fa” del Diabolik originale delle sorelle Giussani, per essere qualcosa di ineccepibile per i terribili fan del fumetto.
miriam leone eva kant in diabolik dei manetti bros
Che era quello che, da bravi registi appassionati, davvero volevano fare.
Oltre a evitare le mille trappole dell’operazione. Già all’epoca del meraviglioso e oggi inarrivabile “Diabolik” di Mario Bava, operazione sofisticatissima possibile solo nei veri anni ’60 italiani, dove un produttore come Dino de Laurentiis liquidò prima Jean Sorel, poi Catherine Deneuve perché troppo fredda, i fan facevano le pulci ai costumi, ai dettagli che non fossero proprio identici a quelli del fumetto. Ecco.
I Manetti hanno l’accortezza di non partire da Bava, troppo cinema, ma dal fumetto originale, anzi dalla storia del numero 3 di Diabolik delle Giussani, e cercano di ripeterne sullo schermo, dopo sessant’anni, il fascino che colpì tanti ragazzi del tempo e tanti giovani lettori delle generazioni successive.
diabolik manetti bros
Così non c’è nessun tipo di rivisitazione moderna, di voglia di reboot, a parte quella di dover, per forza di cose, usare attori di oggi. Anzi gli attori italiani di oggi. Per non dire romani… E lì si può discutere.
miriam leone luca marinelli diabolik
Come Luca Marinelli, criticato perché un po’ privo di vita, ma è così che lo volevano i Manetti, magari ha un nasone troppo forte, ma ha nello sguardo la cattiveria del fumetto originale, a differenza di John Phillip Law, un po’ troppo baccalà, perché Diabolik è un assassino pericoloso senza morale. E ha una forte carica erotica, mi dice Guadagnino.
O come la Eva Kant di Miriam Leone, perfetta come bellezza bionda post-hitchkockiana in primo piano, meno quando si muove, non avendo il corpo di Marisa Mell, troppo catanese, ma è uno dei punti più forti del film, anche se ci fa vedere, ahimé, a differenza della Mell, solo mezza chiappa.
luca marinelli diabolik
Ma l’alchimia fra Marinelli e la Leone non solo funziona ma fa funzionare tutta la prima parte del film, che rivela nel confronto fra i due una precisa carica erotica. Valerio Mastrandea come Ginko, esattamente come il Ginko di Michel Piccoli, che adorava il film di Bava, è preciso nella parte.
manetti bros
Magari un po’ troppo romano, ma questo non è un difetto. Perché tutta l’operazione Diabolik, difficilissima da portare avanti, visto che per anni sono state tentate serie e film presto abortiti, un elenco infinito di nomi, è stata concepita dai Manetti secondo la loro ottica adolescenziale e un po’ dilettantesca, che è però una cifra giusta e precisa per fare quello che vogliono fare da fan.
locandina di diabolik dei manetti bros
Un gioco da ragazzi che fanno cinema per passione con il loro ristretto gruppo di fedelissimi, comprese Claudia Gerini, Serena Rossi e perfino Piergiorgio Bellocchio. In pratica. Non possiamo chiedere ai Manetti un film diverso da questo, che può non piacere, può sembrare un po’ inerte, ma che ha un suo preciso stile.
Cosa che manca al 90% dei film italiani, costruiti senza un’idea visiva e un’idea di messa in scena. Ovvio che non sarà un successo. Anzi. E il confronto con Spider-Man sarà impietoso. Come lo è quello con il vecchio film di Bava.
Assomiglia di più al “Kriminal” povero di Umberto Lenzi, e non è una critica. Ma sicuramente è un ottimo pilot per i successivi episodi che i Manetti stanno già girando. E potrebbe rivelarsi nel tempo, anche un cult, o uno stracult generazionale. E Miriam Leone diventa finalmente una star.
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