Marco Giusti per Dagospia
Pasolini di Abel Ferrara
willem defoe
"Cazzo cazzo vaffanculo. Figa figa vaffanculo". Adesso ognuno potrà dire la sua. Visto che esce giovedì in Italia il più che discusso "Pasolini" di Abel Ferrara ancora fresco di prima veneziana. 88 copie sia nella versione italo-inglese che abbiamo visto alla Mostra, ed è la copia che Ferrara considera più sua, sia in italiano, con Fabrizio Gifuni che doppia Pasolini e Chiara Caselli che doppia la Laura Betti di Maria De Medeiros.
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Diciamo subito che, anche se la copia tutta italiana è più “logica”, il fatto che Willem Dafoe sia l’unico attore a essere doppiato in mezzo agli attori italiani, lo rende più freddo e estraneo di quanto non lo fosse nella versione italo-inglese. E, malgrado il gran lavoro di Gifuni sulla voce di Pasolini/Dafoe, il film perde il suo centro d’attenzione, visto che attorno alla performance di Dafoe ruotava un po’ tutto il film. Raffreddando questo Pasolini nel suo doppiaggio, ogni scena diventa più distante e lontana e il film perde quel calore che aveva (e che ha) grazie alla presenza voce/volto di Dafoe.
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Ovvio che non si potesse fare in altro modo, visto che l’italiano di Dafoe non era utilizzabile nella versione italiana, ma dal momento che non siamo davanti a una biografia di Pasolini da fiction italiana, ma nel Pasolini di Abel Ferrara, che è proprio un’altra cosa, il film funziona un po’ meno che nella versione originale, che consigliamo, ovviamente. Più che probabile, comunque, che il film divida ancora parecchio il pubblico. Anche nell’anteprima romana si è ripetuta la divisione che trionfava alla prima veneziana.
Chi lo trova noioso, vecchio, non costruito, anche imbarazzante nei momenti che vedono la Betti della De Medeiros, e chi lo trova solo a tratti geniale. Va detto però che siamo tutti d’accordo sulla grandezza del Dafoe/Pasolini e di molte scene chiave, come tutta la mezzora finale.
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Inoltre bisognerebbe ammettere tutti che è un film sincero, generoso, girato, fotografato e montato benissimo, di grande intelligenza e sensibilità, che alterna momenti altissimi di invenzioni cinematografiche a ricostruzione perfette della vita di Pasolini, utilizzando i suoi mobili di casa, l'auto, gli abiti, la sua agenda e la fondamentale Lettera 22 della Olivetti.
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E i film nel film, la ricostruzione di parti di "Petrolio", il romanzo incompiuto, e "Pornoteokolossal", il film mai girato, sono sorprendenti. Per non dire delle scene di sesso che segnano ovunque il percorso letterario e politico di Pasolini ("Il sesso è sempre politica", risponde il regista nella prima intervista su "Salò"). C'è pure una grande scena di pompa tra maschi (pare proprio vera) nella ricostruzione di "Petrolio" con Roberto Zibetti come protagonista. Per non dire dell'orgia di "Pornoteokolossal" con l'arrivo di Christine Chiriac come dea della fertilità.
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Quello che forse manca è una sorta di amalgama magico che renda tutto un film e in questo, magari, non aiuta il fatto che i personaggi parlino, nella versione originale, in una babele di inglese e italiano indifferentemente. E non aiuta un po' l'effetto del Pasolini tour che si fa fare agli americani per ritrovare i luoghi di quella ultima notte di vita del regista, il ristorante Pommidoro a San Lorenzo, il Biondo Tevere a Ostiense. Ma le scene importanti, come la morte a Ostia, l'intervista di Furio Colombo e quella iniziale in francese sulle immagini di "Salò" sono bellissime.
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E finissimo è l'uso della musica, Murolo quando Pasolini porta Pino la rana al Biondo Tevere, la Callas di "Una voce poco fa" quando giace morto a Ostia e la camera ci porta dietro alla Betti di Maria de Medeiros che ha l'ingrato compito di dare la terribile notizia alla vecchia madre Susanna di Adriana Asti. "Come si fa a dirle che le hanno ucciso un altro figlio?". E per un attimo vediamo le foto del fratello ucciso in una guerra fratricida. Willem Dafoe, ripetiamo è fantastico, riesce a essere Pasolini sia che parli inglese che un italiano da americano.
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Ninetto Davoli come simil Eduardo nel film nel film "Pornoteokolossal" porta un po' di pasolinismo reale a Abel Ferrara (che seguita a chiamare “Haber”). Ma tutta la partecipazione italiana, gli amici e i parenti, sembrano mossi da un vero e commosso affetto verso la ricostruzione di Pasolini che forse avremmo voluto qualcosa di più. Magari un Pasolini di Bertolucci, di qualcuno che c'era davvero.
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Ma anche se non siamo al livello di "Welcome to New York", il capolavoro di Ferrara sul caso Strauss Kahn, siamo comunque, salvo rare eccezioni, a un livello di cinema e di discussione sul cinema e sulla forma da dare alle nostre idee che non trova paragoni con quello che si vede in questi giorni.
ninetto davoli abel ferrara