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    IL CINEMA DEI GIUSTI - QUESTO POTENTE, BELLO E CIVILISSIMO “GREEN BORDER” CI PORTA NEL VIVO DELLA REALTÀ EUROPEA E DEL FASCISMO E RAZZISMO QUOTIDIANO DI CERTI GOVERNI RACCONTANDOCI IL DRAMMA DI MIGLIAIA DI PROFUGHI ARRIVATI IN BIELORUSSIA IN PIENO COVID E BLOCCATI AL CONFINE CON LA POLONIA - RIMPALLATI DA UN PAESE ALL’ALTRO PERCHÉ NON VOLUTI DA NESSUNO, LA STESSA COSA NON CAPITERÀ OVVIAMENTE CON I PROFUGHI UCRAINI - UN FILM CHE CI RICORDA UNA PAGINA VERGOGNOSA E NON ANCORA FINITA DI TUTTA L’UE… - VIDEO


     
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    Marco Giusti per Dagospia

     

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    Salutato dal pubblico del Festival di Venezia con il Premio Speciale della giuria e al più recente Festival di Rotterdam con il premio del pubblico, questo potente, bello e civilissimo “Green Border” diretto da Agniezska Holland, attivissima regista polacca che da anni si muove tra Europa e America (ha diretto, oltre a “Il giardino segreto” e “Europa Europa”, anche episodi di “House of Cards”, “Cold Case” e “The Affair”), che lo ha scritto con Gabriela Lazarkiewicz-Sieczko e Maciej Pisuk, ci porta nel vivo delle colpe e delle contraddizioni dell'Unione Europea in tema di migranti e accoglienza dei profughi siriani, afgani e di mezzo mondo che cercano di arrivare come possono in Europa, seguendo una famiglia di profughi stremati in un paesino di confine polacco sotto il logo della UE.

     

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    Un simbolo che dovrebbe unire e accogliere. Il film, che esce da noi nel pieno di Sanremo, ci porta nel vivo della realtà europea e del fascismo e razzismo quotidiano di certi governi raccontandoci, con toni di cronaca estremamente duri, il dramma di migliaia di profughi arrivati nel 2020, in pieno covid, nella Bielorussia del putiniano Lukashenko da ogni parte del mondo e bloccati in uno stallo impossibile nella cosiddetta zona verde, al confine tra la Bielorussia e la Polonia allora retta dal leader di estrema destra Mateusz Morawiecki.

     

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    Rimpallati da un paese all’altro perché non voluti, non graditi da nessuno. La stessa cosa non capiterà, ovviamente con i profughi ucraini, accolti fraternamente dal governo polacco. Strutturato a capitoli, prima il tragitto dei profughi, che cercano attraverso la Polonia di arrivare in Svezia o in altre parti d’Europa, e la scoperta del confine da incubo, poi la storia di un giovane soldato, mandato dagli ufficiali a scacciare i profughi e a ricacciarli in Bielorussia. Poi gli attivisti, che poco possono fare per salvare le vite dei profughi.

     

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     E infine la presa di posizione di una psicologa, rimasta vedova, che prende la decisione non solo di salvare delle vite, ma di fare passare quanta più gente è possibile. Girato in un bianco e nero ultrarealistico, interpretato da un gruppo di attori perfetti, Behi Djanati Atai, Maja Ostaszewska, Agata Kulesza, Tomasz Wlosok, ci ricorda una pagina vergognosa e non ancora finita non solo della storia della Polonia, ma di tutta l’Unione Europea, incapace di prendere delle vere decisioni umanitarie rispetto a un problema di dimensione bibliche che ci riguarda tutti. In sala da giovedì 8 febbraio.

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