Marco Giusti per Dagospia
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Il nemico principale di Spider-Man o forse solo di Miles Morales, l’eroe della saga animata iniziata cinque anni fa con “Spider-Man Into the Spider Verse” che prosegue in questi giorni con il successo clamoroso di “Spider-Man Across the Spider-Verse” diretto dal portoghese Joaquin Dos Santos, dall’afro-americano Kemp Powers (regista di “Soul” e autore di “Quella notte a Miami”) e dal più artigiano Justin K. Thompson, che firmeranno anche il terzo episodio, “Spider-Man Beyond the Spider-Verse”, è solo apparentemente la Macchia, un cattivo che vive attraverso buchi nello schermo, da dove passa da una situazione all’altra, ma è la narrativa.
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O, meglio la ripetizione della narrativa. Esattamente come la Macchia è una anomalia visiva, un buco che vive attraverso altri buchi che strappa nello schermo, lo Spider-Man di Miles Morales, quindicenne di Brooklyn mezzo afro e mezzo ispano, è una anomalia negli infiniti universi dove in modo sempre diverso si racconta la storia di Spider-Man. Morso da un ragno e quindi in possesso di straordinari poteri, in lotta con i cattivi, ma anche col destino dove sa che perderà suo padre, il capitano di polizia della città.
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Una narrativa sempre uguale che l’idea del multiverso, iniziata col primo cartoon, altamente sperimentale, esalta con infinite variazioni a opera di infiniti giovani animatori provenienti da tutto il mondo. Leggo che il film ha qualcosa come 240 personaggi diversi e che gli animatori che ci hanno lavorato sono qualcosa come mille diversi talenti creativi. C’è pure un ragazzino di 14 anni che ci ha lavorato.
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All’interno di questa narrativa della storia di Spider-Man che vede un ragazzo alle prese con la crescita, in conflitto col padre, sapendo che dovrà sacrificarlo per il bene dell’umanità del suo universo, Miles Morales è una anomalia. Perché ha preso il posto che spettava a Peter Parker, perché si è intromesso nella storia. Creando la sua stessa storia. Ma un’anomalia in una produzione di narrativa ha questo doppio valore e pericolo tra l’innovazione letteraria e la sfida alle regole che può portare alla morte di ogni narrativa.
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Credo che tutto questo lungo, elaboratissimo, esaltante, complesso filmone di due ore e mezzo che sprizza vita e creatività in ogni frame animato, 150 milioni di budget per un incasso che alla sua prima settimana segna 120 milioni di dollari incassati in usa e 208 in tutto il mondo, ha senso solo all’interno dello studio dell’anomalia narrativa che rappresenta Miles Morales, il suo scontro con la Macchia, cattivo che provoca buchi, magari anche narrativi.
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Ma è proprio l’essere anomalia del personaggio rispetto alle infinite narrazione della sua storia che tiene in piedi tutti gli universi a costruire la sua personale storia. Qual è la tua storia, gli chiede la preside che da Brooklyn internde mandarlo a Princeton. Tutti hanno una storia. Raccontamela. La storia di Miles Morales è quella che si ferma, in fondo è solo la parte Uno di due film costruiti assieme, sul più bello. Nel momento in cui lui si rende conto di chi è e da che parte dovrà stare e cosa vorrà fare nel mondo.
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Il resto del film lo vedremo a marzo del 2024. Inutile che vi dica che se non amate i cartoni animati, i fumetti, i supereroi, è inutile che ci andiate. Ieri al Savoy alle 16 eravamo in quattro a vedere il film. Io e tre pischelli fan di Spider-Man. Penso esaltati. Anche se molto si dedicano sia i registi che gli sceneggiatori-produttori Phil Lord e Christopher Miller, a tutti i modelli di integrazione, non solo razziale dei personaggi, grande spazio ha Gwenn, la Spider-Woman in lotta anche lei col padre poliziotto, per non parlare del clamoroso Spider-Man indiano, o dello Spider-punk costruito sulla carta, trovo ossessivo, e per questo rimango incantato, rispetto agli infiniti modelli di volo animato proposti per i tanti Spider-Man diversi.
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E’ un film, in fondo, rigido nella sua costruzione narrativa. La anomalia narrativa va eliminata o ricondotta entro i limiti di un possibile sviluppo narrativo tradizionale. Solo che tutto questo diventa repressivo e provoca un totale spostamento da parte del protagonista verso quale sia il male e quale sia il bene. Ma è anche un film che esplode ogni secondo in possibile e sempre diverse soluzioni visive.
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Al punto che la Macchia, che ha il problema di non essere solo un “cattivo di routine” non può che esserlo, perché tra narrazione letteraria, repressiva, e narrazione visiva, rivoluzionaria, è in corso una guerra secolare. Molto più antica di quella che può esserci tra il buffo grifone, mostro cinquecentesco che all’inizio del film vuole distrugge le opere di Jeff Koons perché non le considera “arte”. So benissimo che i cinefili, soprattutto i cinefili italiani, odiano i cartoni animati perché non li vedono come cinema, ma non sapete quello che vi state perdendo. In sala.
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