Estratto dell'articolo di Cristina Bassi per “il Giornale”
antonio di fazio
È stata ridotta di oltre sei anni in Appello la pena per Antonio Di Fazio, l’ex manager imputato a Milano per sei episodi di violenza sessuale con uso di benzodiazepine per stordire le vittime. In secondo grado ieri è stato condannato a nove anni di carcere, mentre il gup gli aveva inflitto, con il rito abbreviato, 15 anni e mezzo.
Il sostituto pg Laura Gay aveva chiesto una condanna a 12 anni di reclusione. La Corte d’appello ha riconosciuto la continuazione tra i reati contestati a Di Fazio, difeso dagli avvocati Andrea Soliani e Mauro Carelli. Al contrario di quello che aveva deciso il gup Anna Magelli con la sentenza dell’8 aprile 2022. Per l’avvocato Carelli, la rideterminazione «è un primo passo per arrivare a una pena adeguata ad altri casi di violenza. Da una nostra valutazione dovrebbe essere la metà». Il manager farmaceutico in appello è stato inoltre assolto dal reato di sequestro di persona nei confronti della studentessa 21enne che per prima lo aveva denunciato nella primavera del 2021. È intervenuta invece la prescrizione per i reati di maltrattamenti, stalking e violenza sessuale nei confronti dell’ex moglie, a sua volta vittima dell’uomo. I fatti in questo caso risalgono al 2012.
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(...) Quindi - ha aggiunto l’avvocato - non ci resta che ricorrere alla Cedu e fare causa allo Stato, che non ha protetto né la mia assistita né suo figlio per tutti questi anni in cui ha chiesto aiuto alle autorità». Le motivazioni della sentenza saranno depositate tra 60 giorni. Anche la difesa comunque ha annunciato il ricorso in Cassazione.
Di Fazio era stato arrestato nel maggio del 2021. L’inchiesta era partita dalla denuncia della studentessa della Bocconi, secondo l’accusa narcotizzata e violentata dopo essere stata attirata dall’uomo nel suo appartamento, in cui erano presenti l’anziana madre e il figlio adolescente, con la scusa di uno stage formativo.
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Agli atti dell’inchiesta erano finite anche le decine di foto che l’uomo conservava nel telefonino e che ritraevano le vittime semi nude e prive di sensi durante gli abusi. I suoi gravi «disturbi della personalità», avevano spiegato l’aggiunto Letizia Mannella e il pm Alessia Menegazzo titolari dell’inchiesta condotta dai carabinieri, sono la «chiave di lettura» e «il filo rosso» che collega le violenze messe in atto con lo stesso «schema».
Il manager avrebbe prima creato una «zona comfort» per indebolire le vittime, anche usando il pretesto di uno stage nella sua azienda, e per legarle a sé anche attraverso un rapporto sentimentale. Poi, avrebbe somministrato loro benzodiazepine e, infine, avrebbe «dato sfogo alle sue perversioni». In primo grado il gup era andato oltre i nove anni chiesti dalla Procura, perché appunto aveva deciso di non applicare la «continuazione» tra i reati, ma aveva condannato Di Fazio, facendo la somma delle pene inflitte «spacchettando» i singoli episodi.
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