Dario Salvatori per Dagospia
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Intanto il vero nome: Andreas Comelis van Kuijk. Fuggito dall’Olanda in seguito a numerose truffe. Era nato a Breda nel 1909 e sbarcò negli Stati Uniti per la prima volta nel pieno crollo di Wall Street, mostrando subito delle doti truffaldine non da poco.
Non era ancora il Colonnello e nemmeno Tom Parker (nome adottato dall’ufficiale che gli evitò l’arresto). Il suo mondo era quello circense, equestre, ma anche quello del luna park, dove era bravo a vendere i panini alla salsiccia senza niente dentro, insuperabile nel dipingere di giallo i passeri e a venderli come canarini. Nel suo numero clou era veramente un asso. Il suo stand era quello più affollato.
Metteva delle piastre elettriche sotto ai suoi “polli ballerini” in modo che ballassero a tempo. Si occupava anche di letame, che spargeva all’uscita del tendone in modo che gli avventori potessero noleggiare dei pony terrorizzati di finire in quel sudiciume . Lo ingaggiò il luna park di Tampa, dove faceva anche il chiromante, l’ipnotizzatore e alla bisogna anche lo jettatore. Divenne il manager di un cantante country discretamente noto, Gene Austin, il cow-boy canterino, poi fu la volta di Hank Snow, di Eddie Arnold, che lo pizzicò più volte mentre rubava l’incasso.
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Gli parlarono di questo ragazzo, Elvis diciottenne, che già cantava nei raduni country e alla fine si incontrarono, anche perché in quel luoghi il Colonnello era più famoso di lui. La prima frase che pronunciò fu: “Tu rimani più che puoi in questo stato, al resto ci penso io.” Ci pensò talmente bene che in pochi mesi pretese il 20% dei suoi cachet. Fu lui a fargli firmare il contratto con la Rca nel 1955, ottenendo subito un anticipo di 40 mila dollari. Di colpo la sua percentuale passò al 30%, poi al 40%. Del resto quando Parker iniziò ad occuparsi di Elvis gli riservò il trattamento tipico delle stelle del luna park: elefanti, nani, freaks, bandiere, striscioni, trucchi di ogni genere.
Nel 1958 arrivò per Elvis il servizio militare. Avrebbe potuto evitarlo con qualche inghippo, invece il colpo di genio del Colonnello fu quello di fargli incidere preventivamente molti brani, in modo da tenerlo costantemente in hit parade. Elvis era in Germania ma in America sbarcavano le sue versioni inglesi di classici della canzone napoletana: “’’O sole mio” (“It’s now or never”), “Santa Lucia”(senza cambiare il titolo), “Torna a Surriento” (“Surrender”).
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Quando Elvis tornò dal servizio militare, Parker accettò le ricche richieste dei produttori cinematografici, in modo da tenerlo ben al guinzaglio. Film che incassavano benissimo e permettevano al Colonnello di giocare d’azzardo in ogni casinò, la sua vera passione. Ad Elvis sarebbe piaciuto fare un tour in Europa, diventare ancor più popolare in quei mercati dove peraltro era già celebre, ma mai apparso dal vivo.
Il Colonnello non poteva uscire dall’America. Non lo avrebbero fatto rientrare. Non era in regola con l’ufficio immigrazione, con le tasse, con la green card, con la sua vera identità, nonché una serie interminabile di truffe Questo fu l’altro colpo di genio. Assicurare ad Elvis un mucchio di denaro senza mai allontanarsi da casa. L’Italia era il Paese europeo dove Presley era maggiormente idolatrato.
Nel 1964 Gianni Ravera, storico patron del Festival di Sanremo, decise di mettere in gara anche i cantanti stranieri, accoppiati agli italiani. Fu una grande trovata. I big stranieri dovevano cantare in italiano, accettare tutte le regole della gara e magari rischiare l’eliminazione. Capitò a molti. Arrivarono: Paul Anka, Frankie Avalon, Ben E. King, Fraternity Brothers, Frankie Laine, Little Peggy March, Gene Pitney, Bobby Rydell. Elvis fu inavvicinabile. Intanto in Versilia si stava muovendo qualcosa.
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Sergio Bernardini rimase colpito dal grande successo dei cantanti americani a Sanremo e volle tentare la sua carta per la “Bussola”, dove per altro erano transitate tutte le più popolari star internazionali. Voleva battere in volata tutti gli impresari europei. Con l’aiuto dell’Ente Versilia, il comune di Marina di Pietrasanta, il comune di Lucca, la Regione Toscana, la Rai, l’Associazione egli albergatori e vari imprenditori. Era riuscito a mettere insieme 100 mila dollari. Un botto. Per una unica esibizione con annessa ripresa televisiva. A quel punto si trattava solo di intercettare Parker.
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Sergio Bernardini era figlio di ristoratori emigrati in Francia e dunque parlava soltanto uno squisito francese che ad un uomo di Memphis non poteva bastare. Sia Parker che Bernardini vivevano di notte, ma il fuso orario non era lo stesso. Dopo diverse settimane di tentativi organizzò la call telefonica. Bernardini raccontò come aveva pensato di organizzare l’evento, con tutti i bonus possibili e che certamente sarebbe stato un concerto storico non solo per la Versilia ma per tutta l’Italia. Dopo tutte queste rassicurazioni sparò la cifra: 100 mila dollari!.
Da Memphis, laggiù nel Tennessee, presumibilmente con il sigaro in bocca, rispose il Colonnello (quando si trattava di denaro capiva qualsiasi idioma): “Per me è O.K., ma al ragazzo cosa gli diamo?”. La telefonata si chiuse malinconicamente. A Bernardini non rimase altro che farsi una lunga passeggiata notturna sulla sua meravigliosa spiaggia.
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