Riccardo Signori per "il Giornale"
marvin hagler kay guarino
Un giorno Joe Frazier gli disse: «Hai tre cose che non vanno: sei nero, mancino e troppo bravo». Frazier si sbagliava. Un campione non ha colore. Marvin Hagler era ambidestro. E non era solo troppo bravo, è stato Grande. E come tutti i Grandi se n' è andato con un colpo da ko. Improvviso.
Scrive Thomas Hearns, l' avversario di una fra le più belle, ed elettrizzanti, battaglie: «Colpa di complicazioni dovute al vaccino antiCovid. Un oltraggio pensarlo per la morte di uno come Hagler». Ipotesi che la famiglia non ha confermato. Kay Guarino, la moglie di origini napoletane, e un nipote, hanno evitato di specificare. Forse con ragione. Quando muore uno che, al passaporto, risulta The Marvelous cosa altro conta?
Inserire il nick name nel certificato di identità non è stato il vezzo da primadonna, ma la plateale rivincita di un ragazzo arrivato dai sobborghi più crudeli delle strade d' America e diventato campione del mondo. Gli diede l' idea un dirigente della Tv Abc. Hagler insisteva per essere introdotto come Marvelous Marvin, nel mondiale con Caveman Lee che durò 67 secondi (marzo 1982). E l' altro gli rispose: «Se lo vuoi, cambiati il nome». Fatto.
LEONARD HAGLER
Poi il ring lo ha ridefinito Angry man: uomo arrabbiato. Ma lo fu per tutti gli avversari. Erano nemici e lo rimanevano. Lo spiegava con un sorriso, che svelava nell' Angry un effetto scenico: «Che amicizia ci può essere con chi cerca di romperti la testa?». Con Vito Antuofermo fece eccezione: aveva rispetto, nonostante una battaglia che Vito pareggiò con la faccia spaccata e Marvin, invece, aveva vinto: tranne per i giudici. Nel secondo match Hagler vinse, ma la frequenza continuò. C' era feeling con l' Italia. Hagler imparò il meglio della boxe dai fratelli Pat e Goody Petronelli, originari di Foggia che lo allevarono a Brockton. Il primo mondiale con un italiano: appunto Antuofermo. A Sanremo, sul palco dell' Ariston, concesse la rivincita ad Obelmejias.
MARVIN HAGLER KAY GUARINO
Poi il rapporto con Kay. Il tifo per la Sampdoria. La vita si divideva tra Milano, Boston, New Hampshire dove è morto. Era nato a Newark ma a 13 anni fuggì a Brockton con la madre, quando la città fu messa a ferro e fuoco. Il padre era già sparito. Gli servirono 6 anni da professionista e 49 incontri prima di giocarsi un mondiale. Ha conosciuto l' arte della pazienza: non aveva santi con sé, solo diavoli contro.
marvin hagler kay guarino
E questa morte, avrebbe compiuto 67 anni il 23 maggio, si è adeguata alla rapidità dei suoi ko. I match furono 62: 52 vinti per ko. Solo tre sconfitte. L' ultima, quella con Ray Sugar Leonard, rimase un enigma. Come il verdetto che divise pubblico e giornalisti. Hagler lasciò a tanti il dubbio di non aver voluto esagerare contro un uomo senza match da tre anni e operato agli occhi.
Qualcuno gli diceva: «Non fargli male». Eppure il cappellino indossato portava la scritta War II. Battezzò War, la prima guerra, la sfida con Tommy Hearns. Il cobra di Detroit durò appena tre round, ma fu storia della boxe per bellezza e violenza.
Hagler aveva imparato contro Roberto Duran che non poteva attendere: Mano de Pedra durò 15 round. Duran era un prediletto ma quando disse «Marvin è alto quanto me. Voglio battermi», segnò il destino.
hagler
Anche Hearns lo sfidò a parole. Per Hagler era doping, sentiva rinascere il distruttore dentro di sè. Leonard, più furbo, lo carezzò. E Hagler fu irretito. «A Las Vegas vinse la politica prima dei pugni», raccontò. Leonard era un predestinato.
Valeva di più commercialmente. Quando furono ingaggiati per un giro-spot nelle città Usa, Leonard incassò 40mila dollari, Hagler 1500 benchè fosse il campione e il mondiale gli valse 12 milioni più bonus, a Ray 11 più bonus.
La storia della boxe ha consegnato il Meraviglioso fra i primi 5-6 pesi medi di sempre. Ma lui si sentiva sottostimato. Per questo tifava Sampdoria. «Perché è underdog come sono stato io».
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Eppure il modo di muoversi sul ring sembrava poesia alternata a qualche estemporaneità. Sempre avanti, Hagler aveva dentro il ritmo. Le mani si muovevano come togliesse ragnatele, entrava nella guardia da destra e da sinistra. Meravigliosa la battaglia con John Mugabi, detto la bestia: uno dei medi più esaltanti. Dopo Hagler cominciò a sfiorire. Il Meraviglioso ha lasciato il segno a tanti: quasi i colpi durassero negli anni.
marvin hagler
In Europa ha trovato la via all' immortalità. A Londra conquistò sbrigativamente il mondiale contro Alan Minter (27 settembre 1980): tre round feroci dove il sangue sulla faccia dell' inglese, occhi di ghiaccio ma ferita facile, segnò il destino.
Hagler non fece in tempo a cingere la cintura. Scappò dal ring sul quale piovevano bottiglie vuote e piene di birra lanciate da bande di teppisti. Si disse: «Qui non torno più». Invece ha lavorato a lungo con la Bbc.
joe frazier
Rimase campione fino al 6 aprile 1987: all' alba dei 33 anni. Rimase campione per sé, quando non accettò più offerte per tornare: nemmeno 20 milioni di dollari promessi per una rivincita con Leonard.
Si diede al cinema, ma non era George Clooney. Gli toccò la serie di Indio. Se n' è andato con un grande orgoglio. «Essere uscito dalla boxe con cervello a posto e fisico intatto». A 60 anni aveva ancora un fisicaccio. Fuori dal ring era una persona simpatica, con un sorriso Marvelous.
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Aveva ragione lui: ci stava bene sul passaporto.
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