Da “la Stampa”
scala milano
Il Coronavirus è peggio di Hitler. Almeno per i teatri italiani, che funzionarono più o meno regolarmente durante la Seconda guerra mondiale (a parte la Scala sventrata dalle bombe) e adesso in sette regioni del Nord sono chiusi per virus. Come tutto il resto, d' altronde. Alla Scala salta tutto fino a domenica 1° marzo, anche se è quasi certo che l' ordinanza verrà prolungata.
Ancora da quantificare i danni per il botteghino, perché la biglietteria è sommersa da richieste d' informazioni (e di rimborsi). In realtà il teatro non è chiuso, è solo chiuso al pubblico. Ieri Damiano Michieletto provava regolarmente la regia di «Salome» che debutta, o dovrebbe, l' 8 marzo e Maurizio Bigonzetti in Sala ballo la coreografia per «Madina», la novità di Fabio Vacchi che «andrà su» il 22. Poi, chissà. E dire che il nuovo sovrintendente francese, Dominique Meyer, entra ufficialmente in carica proprio domenica prossima, in piena pestilenza: pronti, stop.
scala milano
La beffa più beffarda è toccata al «Turco in Italia» di Rossini: un mese di prove, «prima» applauditissima sabato, poi stop. E gratis o quasi, perché in Italia i teatri pagano agli artisti le recite ma non le prove. «Tu lavori, debutti, lo spettacolo piace e poi vai a casa. Che delusione», racconta appunto il Turco, il bravissimo basso Alex Esposito, dalla campagna «perché a Milano negli ultimi giorni sono tutti impazziti, sembrava di stare in un film catastrofico». «Forse, data la psicosi, il pubblico non sarebbe comunque più venuto a teatro. Il dispiacere c' è, però è meglio seguire le indicazioni delle autorità», spiega giudizioso il baritono Mattia Olivieri, beniamino della Scala.
Approfitta delle vacanze forzate per studiare un raro Cherubini buffo per il Maggio. «Senta questi versi della mia aria: Vada in malora l' ipocondria / Che sempre offende la sanità». Questi librettisti, sempre sul pezzo...
regio torino
Anche i sovrintendenti non sono esattamente felici della situazione. Sebastian Schwarz del Regio di Torino si considera fortunato nella sfortuna, perché il blocco è arrivato subito dopo l' ultima di dieci pienissime recite di «Nabucco». «Ho dovuto cancellare soltanto un concerto e delle visite guidate». Però adesso si sta montando una nuova «Bohème» che debutta l' 11 marzo. «Sono dieci serate che al botteghino valgono almeno 900 mila euro». E intanto litiga con i sindacati che vorrebbero lo stop delle prove: «Eh, no. Finché a Torino sono aperti metro, bus, tram e supermercati è più facile contagiarsi lì che al Regio».
Dall' altra parte della pianura padana, la Fenice di Venezia ha chiuso domenica dopo un' ultima matinée dell'«Elisir d' amore», date le circostanze un po' spettrale. Il sovrintendente, Fortunato Ortombina, fa due conti: «Fino a domenica prossima mi saltano l' ultimo "Elisir" e due None di Beethoven in Sala grande, e poi due spettacoli di carnevale e due concerti da camera nelle Sale Apollinee, più le visite guidate. Diciamo più o meno 300 mila euro, senza contare i 50 mila euro di Fus (i finanziamenti statali, ndr) che "vale" ogni recita fatta». Per la Fenice come per tutta Venezia, diciamo che piove sul bagnato. La città non si era ancora ripresa dall' acqua granda di novembre che ha depresso il turismo quando è arrivata quest' altra mazzata.
la fenice
«Stiamo ancora riparando i danni. Ho fuori uso i computer che governano i ponti mobili del palcoscenico. E devo sistemarli per montare la "Carmen" che apre il 25 marzo».
Insomma, è un pianto. Nulla è più malinconico di un teatro che chiude, che poi per chi lo fa e per chi ci va è come chiudere casa. Dopo Bergamo e Trieste, il celebre soprano Carmela Remigio doveva portare la sua «Lucrezia Borgia» al Municipale di Piacenza venerdì e sabato: invece niente Donizetti perché anche l' Emilia-Romagna ha bloccato ogni attività. «Io ci rimetto il cachet e anche l' affitto già pagato dell' appartamento, e va bene.
E certo, Piacenza è a 15 chilometri da Codogno. Però non capisco perché i teatri chiudano e le metropolitane siano aperte, i luoghi di cultura sì e i ristoranti no. Tanto più che i teatri italiani non sono certo in buona salute economica». Viene in mente Claudio Abbado quando spiegava inascoltato che i teatri sono servizi pubblici essenziali come i tribunali o gli ospedali. Anche perché così, se non di peste, rischiamo di morire di noia.
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