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    UN MARZIANI A ROMA - "CON ALTAN SCEMANO LE STESSE DIVISIONI TRA CATEGORIE: ILLUSTRATORE, FUMETTISTA, PITTORE, VIGNETTISTA E DISEGNATORE NELLA MOSTRA AL MAXXI (A CURA DI ANNE PALOPOLI E LUCA RAFFAELLI) CI SONO LE TAPPE DI UN’OSSESSIONE AMOROSA CHIAMATA DISEGNO. UN VIAGGIO NELLA GIOIA SOPPESATA, NELLA LEGGEREZZA PROFONDA, NEL PENSIERO MORALE. UN VIAGGIO IN ALTO, SEMPRE PIÙ IN ALTO. ALTISSIMO. ALTAN…"


     
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    Gianluca Marziani per Dagospia

     

     

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    ALTAN sembra un acronimo nei registri anagrafici di Marte. Una parola meticcia che mi ha sempre colpito per quel suono secco e universale, cinque lettere che sono marchio d’autore fin dalla grafia, un tratto novecentesco che certifica i fogli del più anomalo tra i disegnatori italiani da carta stampata. Con lui scemano le stesse divisioni tra categorie: illustratore, fumettista, pittore, vignettista e disegnatore si fondono nel cerchio sintetico di una geniale sociologia visiva, sorta di haiku comico con il lusso rigoroso del tenore morale.

     

    ALTAN come sinonimo d’asciuttezza che impatta, stigmatizzando lo stato influenzale degli italiani o le bronchiti dei governanti: pochissime parole, un fondale bianco, una figura che pensa o due figure da botta e risposta, niente di più ma niente di più complesso quando si tratta di messaggi probiotici a rilascio prolungato. Materia creativa davvero sopraffina quella del nostro friulano: un estratto naturale di genio inclusivo, tanto dentro quanto fuori dal tempo reale, talmente “oltre” che le sue vignette si rigenerano per partenogenesi semantica. Fidatevi del vostro amico marziano, questa è roba da fuoriclasse umani per risultati che parlano di un artista con la A(ltan) maiuscola.

      

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    Nella mostra al MAXXI (a cura di Anne Palopoli e Luca Raffaelli, catalogo Franco Cosimo Panini Editore) ci sono le tappe di un’ossessione amorosa chiamata disegno. Si parte con la pittura degli anni Sessanta, quadri con atmosfere tra Maccari e Baj, bagnati da surrealismi antimilitaristi e da una gestione felice della materia figurativa.

     

    Poteva essere l’incipit da futuro principe del quadro, invece fu una radice solitaria per introdurre altri viaggi su carta felice: ne è prova l’esordio su Linus (1973) con trenta vignette prive di parole; ne è prova il suo Trino, un dio che riceve da un altro dio l’ordine di creare il mondo; ne sono prova le vignette che gli daranno l’aura del culto: la donna del disincanto, i bambini, la moglie melanconica, l’operaio di talento, il pensionato triste, personaggi in colori primari e frasi nucleari, casse risonanti dal verso secco senza se e senza ma, mix di sagacia e cinismo che danno amarezza al sorriso mentre ci salvano con una satira dal vocabolario pop.

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    Francesco Tullio-Altan (Treviso, 1942) appartiene al bosco magico degli artisti inclassificabili, fuori da qualsiasi dogma ideologico, fuori da categorie del pensiero, fuori da avanguardie e movimenti. Lui è uno di quelli che ha sempre fatto arte visiva sotto mentite spoglie, un pittore da disegno che ha metabolizzato Scola e Petri, conditi con l’iconoclastia di Ferreri e il grottesco di Fellini e Flaiano. La riprova la trovate nelle tavole per Colombo, Ada, Casanova, Franz, Zago Oliva, Fritz Melone e Caltagirò, amabili figli di grafite biologica che si affiancano alle illustrazioni per i racconti di Gogol e Swift, per le favole di Rodari…

     

    un serbatoio d’invenzioni e complessità risolte, un controcanto espressivo al mondo di sintesi delle sue vignette dal frasario essenziale. Pieno e vuoto, tanto e poco, tutto e quasi niente: a metà di ogni polarità c’è sempre lui, ALTAN delle nostre brame, tra i più bravi del reame, signore del disincanto e orchestratore di un ripetuto e sublime incanto.

     

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    Qualche decennio fa sarebbe stato complicato parlare d’illustratori o pubblicitari in un grande museo d’arte contemporanea. Oggi, cari terrestri, avete rotto diversi argini e la cosa vi fa onore, anche perché davanti a certe intuizioni scemano categorie rigide e muri accademici. Qui siamo tra immagini che diventano immaginari, intuizioni che diventano concetti chiari, corpi che diventano archetipi. Le creazioni di ALTAN restano una categoria autonoma dell’arte e del pensiero, una luce che dà nuovi confini alla pittura narrativa, quella che comprime una storia collettiva nel perimetro di una superficie. Purtroppo in Italia faceva paura l’ironia nel quadro, al punto da non classificare tra gli artisti da museo Andrea Pazienza, Guido Crepax, Milo Manara, Hugo Pratt, Jacovitti, Altan… me lo diceva Pablo Echaurren, uno che le categorie le ha mescolate da tempo, che in Italia sarebbe stato complicato cambiare la percezione sugli illustratori di genio. Oggi, finita l’era dei partiti che dettano la linea culturale, vedo piccoli segnali di rinsavimento; minimi rispetto a musei come il londinese Victoria and Albert o il francese Centre Pompidou, significativi se capiamo che “two is megli che uan”. La domanda a questo punto sorge spontanea: quando ritroveremo i maestri del disegno narrativo nelle migliori collezioni d’arte contemporanea? 

     

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    D’altronde, uno che ha inventato la Pimpa non può certo uscire dal consesso dei grandi poeti visivi. Noi su Marte abbiamo animali dai pattern fantasiosi ma solo la vostra Pimpa ha un corpo a grandi pois rossi, come se avesse preso un morbillo gioioso che ribalta la diversità in nonsense e sorrisi. Disegnata nel 1975 come dono per la figlia (il primo caso al mondo in cui il disegno di un cane è più prezioso di un vero cane in regalo), Pimpa è la sintesi dadaista del tema libertario, global performer che viaggia tra continenti ma torna la sera dal suo Armando, mixando esperienza e famiglia, scoperta e certezze, ampiezza e perimetro domestico. Dopo 45 anni di vita è un trionfo di modernità post-hippie e freschezza interiore, un approccio alla vita adulta che apre il cervello e accresce lo sguardo inclusivo.

    Gianluca Marziani Gianluca Marziani

     

    Solo il genio mangia la colazione dei campioni, non porta uniformi e riesce a far sorridere la luna.

     

    Il disegno di ALTAN è un viaggio nella gioia soppesata, nella leggerezza profonda, nell’emozione inclusiva, nel pensiero morale. Un viaggio in alto, sempre più in alto. Altissimo. ALTAN…

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