Niccolò Carratelli Alessandro Mondo per “la Stampa”
medici covid
L' ultimo era un oculista. Paolo Melenchi, 57 anni di Caserta, è morto domenica. Morto di Covid, non aveva altre patologie. È il numero 184 nell' elenco, listato a lutto, pubblicato sul sito della Fnomceo, la Federazione degli ordini dei medici. Ci sono i nomi delle vittime di questa epidemia, spesso caduti in servizio, contagiati sul luogo di lavoro.
Cinque nell' ultimo mese, travolti dalla seconda ondata del virus. Più di 14mila, invece, i medici e gli infermieri infettati tra settembre e ottobre, con il ritmo impressionante di 230 al giorno.
Il totale degli operatori sanitari risultati positivi da febbraio a oggi, secondo i dati dell' Istituto superiore di Sanità, supera quota 44mila. «Circa il 70% sono infermieri, siamo la categoria più esposta, perché ha contatti più prolungati con i malati», spiega Antonio De Palma, presidente del sindacato Nursing Up, che però non ha dati aggiornati sui morti, ufficialmente fermi a 44.
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«Sicuramente sono di più, basta leggere il numero in rapporto ai contagiati - dice - non sono calcolati quelli deceduti prima dell' arrivo dei tamponi e poi fatichiamo ad avere i dati dalle regioni». Di certo dopo l' estate la situazione è cambiata, con una mortalità più bassa, ma non per questo è meno preoccupante.
«A livello di sicurezza stiamo meglio rispetto alla prima fase, quando non avevamo nemmeno le mascherine - dice Filippo Anelli, presidente della Fnomceo - anche se ci arrivano segnalazioni su eccessi di burocrazia da parte delle Asl, che centellinano la distribuzione dei dispositivi». Ma il problema principale, oggi, è «la carenza di personale e il conseguente sovraccarico di lavoro, con turni massacranti».
Del resto, chi risulta positivo finisce in quarantena e deve abbandonare i propri pazienti, com' è successo ai 20 infermieri e un medico risultati positivi all' ospedale Sacco di Milano. Mentre chi è solo un contatto stretto di un soggetto positivo può, anzi spesso deve, restare in servizio. È sufficiente che sia asintomatico per continuare a lavorare come se niente fosse: per medici e infermieri l' isolamento fiduciario non vale. O meglio vale per le ore della giornata in cui non sono impegnati in reparto.
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«È una questione delicata, su cui ci siamo scontrati con il ministero - dice Carlo Palermo, segretario del sindacato dei medici Anaao Assomed - per tenere in piedi il sistema e non dover chiudere interi reparti, si rischia di trasformare i luoghi di cura in luoghi di contagio. Così gli operatori sanitari possono mettere a rischio pazienti e colleghi».
Anche per questo i più anziani puntano alla pensione, anticipando un po' i tempi: «Chi magari ha la possibilità di sfruttare quota 100, stanco e stressato dopo la prima ondata, ne approfitta», spiega Palermo. Insomma, tra malati, quarantenati e prepensionati, la strutturale carenza di personale tende ad aggravarsi invece che a ridursi grazie alle nuove assunzioni.
«I contagi tra i medici depauperano organici già allo stremo, per questo è necessario che vengano sospese le attività ordinarie non urgenti e non salvavita», dice Chiara Rivetti, segretario regionale Anaao Assomed Piemonte. I dati in arrivo dalle aziende sanitarie piemontesi sono eloquenti.
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Nell' Asl Città di Torino, dal primo settembre, 154 positivi su 6 mila dipendenti: 65 tra medici e specializzandi, più 72 infermieri e una quarantina di altri operatori. All' ospedale Mauriziano in due mesi si sono contagiati 13 medici e 23 infermieri.
E poi una settantina di dipendenti nell' Asl Torino 5 e altrettanti al San Luigi. «Purtroppo gli ospedali stanno tornando a essere focolai, come a marzo - avverte Francesco Coppolella, segretario regionale Nursind Piemonte, sindacato degli infermieri - senza considerare i colleghi che, pur essendo sintomatici, non riescono ancora a fare il tampone».
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