Stefano Bucci per “La Lettura - Corriere della Sera”
francesco vezzoli palcoscenici archeologici
«Chi ci libererà dai greci e dai romani? Mi spiace ma l'hanno detto già in troppi. E allora molto meglio ribaltare la prospettiva e correre tra le braccia dei greci e dei romani: studiamoli fino allo sfinimento e capiremo tutto di noi e anche dell'arte. Un esempio per tutti: la Villa di Oplontis a Pompei con quelle sue decorazioni astratte che sembrano Sol LeWitt, con quei suoi affreschi stordenti che anticipano la pittura di ogni epoca e genere, con quella sua architettura emotiva seducente e razionale. Perché mai, dunque, dovremmo liberarci del nostro passato se il nostro passato è questo?».
Così Francesco Vezzoli anticipa a «la Lettura» Palcoscenici Archeologici, il progetto con cui sbarca per la prima volta nella sua Brescia (dove è nato nel 1971), un progetto site-specific di cui sarà al tempo stesso artista e curatore che si inserisce nel filone di mostre ideate dalla Fondazione Brescia Musei, presieduta da Francesca Bazoli e diretta da Stefano Karadjov, per celebrare il ritorno della Vittoria Alata, il bronzo romano che dopo il restauro effettuato dall'Opificio delle Pietre dure di Firenze è ora tornato nella sede originaria del Capitolium (riallestita da Juan Navarro Baldeweg).
foto di francesco vezzoli
Sono otto le opere di Vezzoli coinvolte in questo dialogo ideale (che ha anche vinto il bando dell'Italian Council 2019) tra antico e contemporaneo. Tutte collocate su basi coloratissime «per sottolinearne la modernità» (l'allestimento è di Filippo Basagni), tutte felicemente disperse tra il Parco Archeologico di Brescia Romana e il complesso museale di Santa Giulia.
E tutte per la prima volta collocate in uno spazio non contemporaneo ma storico, fatto di vestigia romane e longobarde («Un modo - assicura Vezzoli - per ricongiungerle al loro contesto archeologico originario»).
francesco vezzoli
Sono la Nike metafisica (che alla fine della mostra entrerà nelle collezioni di Brescia Musei), Achille! e La Colonne Avec Fin (entrambe inedite), God is a woman (after Constantin Brancusi), Lo sguardo di Adriano; Ritratto di Sophia Loren come Musa dell'Antichità (after Giorgio de Chirico), C-CUT Homo ab homine natus, Portrait of Kim Kardashian (ante litteram).
Dunque una rivisitazione della Venere di Willendorf d'età paleolitica (oggi al Naturhistorisches Museum di Vienna) che Vezzoli ha trasformato, dopo averla integrata con una testa marmorea romana del III secolo d.C., nell'ironico ritratto di un'«eroina dei social» (complici le forme esuberanti di entrambe). Oppure il busto settecentesco di Achille rimodellato come se fosse la Twiggy di Richard Avedon.
francesco vezzoli c cut homo ab homine natus
O ancora la Nike di Samotracia (l'originale è quello che troneggia in cima allo scalone monumentale del Louvre di Parigi) aggiornata con la testa di un manichino molto dechirichiano. Con questi Palcoscenici Archeologici Vezzoli conferma la sua ispirazione di camaleonte in grado di assemblare senza paura (sia che si tratti di video proiezioni, ricami a piccolo punto, fotografie, performance, sculture) frammenti di cultura «alta» e «bassa», cinema d'autore e serial Tv, moda e politica, memoria e futuro.
E se l'antico per Vezzoli sembra essere molto spesso una gioiosa trasgressione, questa volta a rendere tutto diverso ci potrebbe essere l'elemento-nostalgia: «È la prima volta che espongo il mio lavoro nella città dove sono nato - dice-, logico che ci sia spazio per qualche ricordo e per qualche paura in più. Il senso del ritorno? Non penso che al pubblico gliene possa fregare molto dei miei traumi adolescenziali, parlerei piuttosto del ritorno di queste statue che per la prima volta si troveranno faccia a faccia con il loro presente che è anche il nostro passato. Chissà se loro reggeranno l'emozione e chissà se anch'io sopporterò il confronto? Coabitare con la Vittoria Alata è un po' come andare a Mykonos con i Bronzi di Riace o col Pugilatore, per citare due bronzi di pari livello. E confesso, sinceramente, che non so se sono ancora pronto per questa fatidica prova costume».
god is a woman francesco vezzoli
Il suo antico, comunque, resta pur sempre molto attuale: «Per me è l'unica strada per capire il presente. Vedere Caligola come Trump, Nerone come Boris Johnson, Messalina come Melania Trump, Agrippina come Oprah Winfrey ci aiuta a comprendere quello che ci sta accadendo: perché la loro storia e i loro misfatti sono frutto di segnali emotivi che si ripetono sempre uguali da 2.000 anni».
Anche la Vittoria Alata? «Si dice che nasca come Afrodite che si specchia nello scudo di Marte, dio della guerra: già questa rappresentazione dell'involontario ossimoro tra vanità e conflitto è talmente potente da renderla eterna».
Perché ha scelto proprio queste sue otto sculture? «Achille l'ho truccato come Twiggy, la Nike di Samotracia ha perso la testa, la Venere di Willendorf è in fase di transizione perché ha assunto le sembianze di una matrona romana, all'imperatore Adriano ho truccato ad arcobaleno gli occhi malinconici come se dovesse partecipare controvoglia a un gay pride ante litteram perché Antinoo "ha diritto a divertirsi un poco anche lui". Noi e loro siamo tutti corpi in conflitto tra il nostro desiderio di piacere e la brama di potere, siamo anime che vagano in eterna transizione come l'Adriano della Yourcenar».
palcoscenici archeologici
Non è mai facile per i contemporanei misurarsi con l'antico, nemmeno per Francesco Vezzoli: «Gli artisti per quanto mi riguarda possono definirsi deresponsabilizzati, anarchici edonisti e persino moralisti: io perdono tutto. L'unica cosa che non perdono è la noia o il tempo perso. Quindi tutti gli artisti, me compreso, sono pregati di elaborare riflessioni davvero innovative sulla realtà che ci circonda, altrimenti mi ritiro e torno all'antico. E, invece che sulla Yourcenar, mi butto direttamente su Tacito che è più lucido e divertente di una serie di Netflix».
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