Dagotraduzione dal Washington Post
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Un tempo, negli Stati Uniti, quando il circo arrivava in città era una grande festa, paragonabile al Ringraziamento, al Natale e al 4 luglio. Negozi, uffici, scuole chiudevano e l’intera popolazione si radunava per assistere allo spettacolo. Ma il circo è stato qualcosa di più di puro divertimento: ha rassicurato gli americani che tutto era possibile.
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Il circo ha radici antiche, che risalgono agli antichi greci e ai romani. Nel Medioevo i turchi ne ripresero l’essenza con spettacoli di acrobazia su corde tese tra gli alberi di due navi. E nell’Inghilterra del XVIII secolo, i britannici iniziarono ad esibirsi sui cavalli all’interno di un anello di una certa dimensione.
Le acrobazie equestri conquistarono presto anche gli americani. George Washington si dilettava in spettacoli con cavalli e cavalieri, qualche giocoliere e l’immancabile clown. All’inizio del 1800 l’arrivo degli elefanti, novità assoluta per il pubblico americano, lo spettacolo arrivò a nuovi livelli.
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Ma quello che negli anni ha attirato tra i 7.000 e i 10.000 spettatori sotto il tendone è stata l’idea di vedere cose apparentemente impossibili: esseri umani che saltellano sulla schiena, animali esotici, prodezze e acrobazie in una continua sfida alla morte.
Negli Stati Uniti queste incredibili imprese hanno contribuito a trasformare il circo in un’istituzione politica e sociale, che si è sviluppata al fianco della nazione. E così è diventata una trasposizione del sogno americano: «vivere in una prateria o in un polveroso campo di grano e trovarsi faccia a faccia con le incredibili meraviglie mondane» scriveva il romanziere Hamlin Garland nel 1899.
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Negli anni Venti, l’avvento della radio, e poi quello della televisione negli anni Cinquanta, iniziò a segnare il lento declino del circo. Alcuni potrebbero liquidare la scomparsa del circo come la fine di un passatempo fuori moda, ma liquidare un’impresa che per più di un secolo ha incantato un’intera nazione è un esempio miope di pensiero astorico.
Un critico culturale ritiene che il lungo successo del circo sia il risultato della sua capacità di concludere «l'esperienza americana», incluso quasi tutto ciò che troviamo divertente - esotismo, atletismo supremo e dramma della vita o della morte - nello spazio di un pomeriggio. E, aggiunge Kenneth Feld, successore di suo padre Irvin come uomo del circo degli ultimi giorni, tutte le imprese impossibili viste nel circo sono reali, un promemoria della capacità dell'istituzione non solo di intrattenere ma di ispirare.
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Certo, la perdita del circo ci rende un popolo più solo. Lo storico della cultura Ernest Albrecht lamenta il fatto che il progresso tecnologico ha portato all'aumento dell'offerta di intrattenimento direttamente nelle case (e nei telefoni), dove il diversivo diventa spesso un atto solitario. «Di conseguenza», afferma Albrecht, «ci saranno sempre meno opportunità di riunirsi con altri per creare quel gruppo speciale noto come pubblico». E questo non solo riduce il senso di comunità, ma anche la capacità di rivolgersi a un vicino e condividere la meraviglia: «È successo davvero?».
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