Marco Giusti per Dagospia
The English
Che vediamo stasera? Beh io sto finendo su Paramount+ “The English”, serie in sei episodi scritta e diretta da Hugo Blick con Emily Blunt e Chadka Spencer, prodotta dalla BBC e girata in Almeria, la migliore serie western in assoluto degli ultimi anni. Violenta, sentimentale e politica quanto basta. Guardatevi almeno la prima puntata, che ha Toby Jones e Ciaran Hinds come guest star e resterete colpiti. Ma sono buone anche le altre. Tutte dirette da Hugo Blick, lo stesso che ci aveva dato la stupenda e documentatissima serie inglese sul genocidio Tutsi “Black Earth Rising” con Michaela Coer e John Goodman.
The English
Ormai il west e il western, sia quello classico che quello spaghetti, sono diventati territori importanti, anche se scivolosi, e modelli fondamentali non solo per grandi avventure picaresche, come di fatto sono quasi tutte le maggiori serie di questi anni, da “The Last of Us” in giù, ma anche per discorsi politici sui rapporti di classe, e per la ricostruzione visiva del vecchio cinema d’arte. Anche il peggior film o la peggiore della serie western si sente in obbligo di provare inquadrature pittoriche o originali, o comunque forti, che rimandino un po’ a Ford un po’ a Leone un po’ a Peckinpah.
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Al di là della tematica del genocidio indiano, “The English” è curiosa perché è una serie inglese, targata addirittura BBC, ricca di dialoghi sofisticati e di citazione erudite, dove si affronta il problema proprio degli inglesi alle prese con il colonialismo e con la violenza che qualsiasi occupazione territoriale comporta. Il cacciatore di bisonti, che ha affamato e soggiogato gli indiani, risponde alle critiche della protagonista, Lady Cornelia, ricordando la politica della fame con cui gli inglesi hanno trattato gli scozzesi. Le tasse sono come le pallottole, le dice.
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Lady Cornelia, in viaggio per una vendetta, e il suo adorato indiano che la protegge, Eli Whipps, sono personaggi di un mondo alla fine, alla Larry McMurtry, che si muovono solo per ritrovare se stessi nel viaggio. Esattamente come i due protagonisti di “The Last of Us”, serie che solo apparentemente è meno demodé, in quanto postpandemica e non storica, ma che ha la stessa costruzione narrativa e si muove sui binari della grande letteratura americana.
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Non avevo notato, però, che tra i registi di “The Last of Us”, cosa che rende la serie davvero all’avanguardia nel panorama attuale, ci sono registi di film da festival d’arte, come l’iraniano-svedese Ali Abbasi, autore di “Border” e “Holy Spider”, firma le ultime due puntate, e perfino la Jasmila Zbanic di “Quo vadis, Aida?”, il bellissimo film sul massacro di Srebrenica, che firma la puntata numero sei, quella cioè dedicata alla città sotto assedio. Segni che il mondo della serie sta già digerendo, prima che noi ce ne potessimo accorgere, il mondo del cinema.
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