Marco Giusti per Dagospia
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Boom! 11 milioni di spettatori in tutto il mondo per la quarta stagione di “Stranger Things”, e i fan stanno contando i giorni (25) che li dividono dal volume 2 della stagione che dovrebbe chiudere tutta la saga ideata dai fratelli Duffer. Una canzone di Kate Bush di 37 anni fa, “Running Up That Hill”, che torna in classifica in Inghilterra solo perché chiude la bellissima quarta puntata, quella dedicata al personaggio più depresso, Max, che pensa di poter morire, ma anche quella dove compare nei panni di Victor Creel, un simil Freddy Kruger, chiuso in carcere dalla fine degli anni ’50, il grande Robert Englund.
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Non si tratta solo di rimasticazioni per i millennials di classici come “Halloween” o “Sream”, di riempiere di citazioni di film degli anni ’80, da “Scuola di polizia III” alla versione in vhs divisa in due parti del “Dottor Zivago”, di costruire nuove case della paura, come la Creel House, o di sfornare un nuovo cattivo come il demone Vecna, interpretato da Jamie Campbell Bower, davvero disgustoso, frutto di un male che tutta una nazione, e non solo i cittadini di Hawkins, si portano dietro nascosto nelle profondità della terra, ma di dare a tutto questo una forma possibile, leggibile, chiara per tutti. Sono anni che giriamo attorno agli anni ’80, con i videogiochi Atari, le sit com assurde, le canzoni, i vestiti, i gruppetti di amici in pericoli, le morti violente che non ti faranno mai diventar grande, ma certo “Stranger Things”, con la potenza di fuoco di Netflix catalizza tutto questo girarci attorno in un unico oggetto di culto.
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Che ha la forma di una serie giovanile e dove si ripete ogni stagione lo stesso plot. Il Male assoluto, un demone venuto da chissà dove, causa della maledizione che incombe sui cittadini inconsapevoli di Hawkins, sta per aver la meglio, sempre più forte. Solo un gruppo di ragazzini strafatti di tv e di quello che sarà il loro futuro, possono salvarci. Mettiamoci anche i ragazzi neri, i ragazzi bianchi, i personaggi gay o che non sanno di essere gay, la guerra fredda, Hopper che diventa prigioniero in una Russia pre-putiniana ma non meno orrenda, Chrissy che se ne va via troppo presto, Robert Englund e Kate Bush.
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Perché undici milioni di spettatori, undici come il nome dell’eroina della serie con superpoteri, l’unica forse in grado di eliminare Vecna, guardano “Stranger Things”? Perché ci riporta in un territorio conosciuto e confortevole, malgrado le case dell’orrore e i delitti alla Freddy Kruger e Mike Myers, che è meglio di quello di oggi, con l’orrore delle stragi nelle scuole, Trump e Biden, perché funziona da analisi di gruppo per chi ha oggi trenta- quarant’anni, perché il meccanismo dei ragazzini alle prese con il male, la morte, il sesso, funziona sempre. Perché altrimenti staremmo lì a guardarci Giletti a vita in questo giugno così caldo. Quanti giorni mancano al volume 2 della quarta stagione?
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