1. «WHERE ARE YOU?», L' IMMIGRAZIONE RACCONTATA DA UNA FOTOGRAFIA
Aldo Grasso per il Corriere della Sera
massimo sestini foto di bacco (2)
«Sono uomo, nulla che sia umano mi è estraneo». Con questa celebre citazione di Terenzio, si apre Where are you? Dimmi dove sei , il documentario firmato da National Geographic andato in onda giovedì in occasione della Giornata mondiale del rifugiato.
Un esergo impegnativo, una dichiarazione di intenti che rivela uno degli obiettivi della produzione: riflettere sulle potenzialità del cosiddetto «discorso umanitario» che mette al centro le vite, le storie, le sofferenze dei migranti al fine di scuotere percezioni e superare gli ostacoli (spesso anche linguistici) del contrapposto «discorso securitario».
WHERE ARE YOU - IL DOCUMENTARIO DI NATIONAL GEOGRAPHIC SULLA FOTO DEL BARCONE DI MIGRANTI DI MASSIMO SESTINI 5
Where are you? prende le mosse da una fotografia di Massimo Sestini, assurta a icona della crisi migratoria nel Mediterraneo; scattata il 7 giugno 2014, nelle acque internazionali tra Libia e Sicilia, a bordo di un elicottero della Marina Militare italiana, l' immagine zenitale di Sestini assume una valenza simbolica diversa da altre immagini cui siamo soliti accostare il tema dell' immigrazione.
Nella fotografia, i migranti stipati sul barcone guardano verso l' alto, cercano e riconoscono l' obiettivo, esultano e festeggiano ormai convinti di essere in salvo. Con quella fotografia Sestini vuole raccontare il lato meno immediato dell' immigrazione, «non la violenza, la morte, la disperazione, ma la speranza».
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massimo sestini premiato
Da quel momento, il fotografo lancia un appello sul web per scoprire dove siano finite quelle persone e molte di loro compaiono con le loro testimonianze nel documentario. Alla fine, Where are you? , realizzato sotto l' altro patrocinio dell' Unhcr, non è tanto il racconto dell' altra faccia dell' immigrazione, ma è il racconto di una fotografia, della potenza evocativa delle immagini, del ruolo del web nel riprodurle all' infinito, dei meccanismi comunicativi che ce le imprimono nella memoria.
DAGONOTA
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Il documentario firmato da National Geographic è emozionante e straziante quanto l’immagine catturata dall’immenso fotoreporter Massimo Sestini. Ma anche, personalmente, disturbante. Colpisce che nessun migrante, una volta salvato vestito e rifocillato, spenda una sola parola per ringraziare non solo il paese che li ha portati in salvo (l’Italia) ma nemmeno gli altri paesi (Francia, Svizzera e Germania) che li accolgono e danno loro un lavoro, una casa, un welfare. Niente, manco un “grazie”. Anzi, è tutto un lamentarsi che il velo impedisca di fare la parrucchiera, che la gente li osservi curiosa, perfino il clima del nord Europa dà loro fastidio.
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Altro punto: in questa immane tragedia dell’immigrazione non spunta mai un esponente della comunità musulmana italiana o svizzera che intervenga per dar loro aiuto e sollievo nel processo di integrazione in un nuovo paese. Nemmeno sul molo di Lampedusa c’è qualcuno che si prodighi nei loro confronti. Magari, e noi non lo sappiamo, il Corano non permette compassione per chi è scampoto per un miracolo alla morte
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