Alessandra Coppola per “il Corriere della Sera”
Può Andrés Manuel López Obrador, il candidato che dal principio stacca gli avversari di almeno dieci punti, se non trenta, e che negli ultimi mesi è addirittura cresciuto nei sondaggi, perdere oggi le elezioni presidenziali in Messico? «Razionalmente no - sorride Daniela Pastrana - ma siamo un Paese irrazionale».
lopez obrador
Giornalista di lungo corso, grande esperta di politica, Pastrana, assieme ad altri colleghi senior come Alberto Nájar, alleva un gruppo straordinario di giovani reporter, sguinzagliati per il Messico a monitorare quest' ultima campagna e raccolti nella rete «Periodistas de a pie». Nell' animata riunione di redazione di ieri la discussione è più o meno di questo tenore: «Che cosa si inventeranno per fermare Amlo?».
«Nessuno ritiene possibile che in Messico non ci sia una qualche forma di frode elettorale - spiegano - abbiamo una solida tradizione di questo tipo». Nella capitale è più difficile avvertirlo, fanno notare, perché vasto è il sostegno al «Peje» (soprannome di López Obrador che viene da un pesce tipico del Tabasco, il suo Stato di origine), dopo la sua prova come «sindaco» (capo del governo del distretto federale) tra il 2000 e il 2005. Ma in ampi territori del Paese, nel Nord soprattutto, nonché in potenti settori dell' establishment, è diffusa quella che definiscono «pejefobia»: «Per loro è il diavolo».
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Che cosa si potrebbero, però, mai inventare?
«L' ipotesi di brogli è totalmente da escludere - risponde al Corriere Rubén Alvarez, responsabile della comunicazione dell' Istituto nazionale elettorale (Ine), che oggi vigilerà sui seggi e conterà i voti -: furto di schede, manomissione di urne e ogni altro tipo di intervento sono stati ormai disinnescati. Non è più come in passato. Le preoccupazioni sono assolutamente infondate».
Ci sono in «missione» circa 1,4 milioni di messicani estratti a sorte, spiega Alvarez, tra presidenti e scrutatori dei 138 mila seggi, e hanno ricevuto una specifica formazione. Più i rappresentanti di lista: oltre al movimento Morena di López Obrador; il Pan di Ricardo Anaya (secondo nei sondaggi); il tradizionale partito-Stato Pri, ora al governo ma in tragica discesa, per il quale si presenta José Antonio Meade; gli indipendenti legati al candidato Jaime Rodríguez.
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L' Ine gode di ottima fama, ma i tifosi del Peje non sono tranquilli perché ritengono che la vera frode sia a monte, in una scelta elettorale manipolata ben prima dell' apertura dei seggi. Un dossier appena presentato dal progetto «Democracia sin Pobreza 2018», sostenuto da una coalizione di 70 organizzazioni contro la povertà, denuncia che nel corso di questa campagna: a 29,9 milioni di messicani è stato chiesto di vendere il proprio voto; di questi, 9 milioni hanno accettato, ricevendo favori di vario tipo; 5,3 milioni hanno accettato, ma ancora non hanno incassato «il premio»; 15,5 milioni hanno rifiutato. Contando 90 milioni di aventi diritto, di cui non tutti andranno ai seggi, 9 milioni di schede pre-assegnate «possono fare la differenza, in caso di risultati stretti», ragiona con il Corriere Alberto Serdán, direttore della ricerca.
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Chi compra i voti? «Chi è ora al potere. Principalmente il Pri, poi il Pan, probabilmente l' avrebbe fatto anche Morena se avesse avuto la possibilità». Il sistema che denuncia il rapporto è legato all' uso distorto dei programmi sociali: fondi pubblici di aiuto alla popolazione indigente dirottati attraverso cosiddetti «promotori locali», che mediano tra il partito e il beneficiario.
Se voti per il tale, avrai accesso alle cure mediche, o riceverai in regalo del materiale da costruzione, o degli indumenti, oppure del cibo. Ed è impensabile che questo ricatto non faccia presa in un Paese con il 50 per cento di popolazione povera, spiega Serdan, il 20 per cento sotto la soglia estrema di 1.054 pesos: 45,2 euro al mese per una famiglia intera.