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    IL DUCE SI’, IL DUCE NO, SE FAMO DU’ SPAGHI? I FASCISTI ODIAVANO LA PASTA PERCHÉ RAMMOLLIVA LO SPIRITO, DAVA SONNOLENZA ED ERA UNA MODA IMPORTATA DALL’AMERICA. INOLTRE NON ERA FUNZIONALE AL PROGETTO AUTARCHICO. PER QUESTO SECONDO LA VULGATA PARTIGIANA LA PASTA E’ ANTIFASCISTA E OGNI 25 LUGLIO, ORMAI DA 80 ANNI, IN TUTTA ITALIA SI CUCINA, SI MANGIA E SI CELEBRA LA PRIMA SPAGHETTATA ANTIFASCISTA OFFERTA DAI SETTE FRATELLI CERVI ALLA COMUNITÀ DI CAMPEGINE, A REGGIO EMILIA, PER FESTEGGIARE LA FINE DELLA DITTATURA FASCISTA E LA DEPOSIZIONE DI BENITO MUSSOLINI – IL CASO ESPLOSO IN PROVINCIA DI VICENZA CON LA SINDACA CHE...


     
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    Estratto da wired.it

     

    mussolini pastasciutta antifascista mussolini pastasciutta antifascista

    I fascisti odiavano la pasta. Spaghetti, tagliatelle e maccheroni finirono al confino come Altiero Spinelli, Antonio Gramsci e Sandro Pertini. Per questo la pastasciutta è antifascista. E ogni 25 luglio, ormai da 80 anni, in Italia si cucina, si mangia e si celebra la prima pastasciutta antifascista, offerta dai sette fratelli Cervi alla comunità di Campegine, a Reggio Emilia, per festeggiare la fine della dittatura fascista e la deposizione di Benito Mussolini, avvenuta in quella stessa data nel 1943.

     

     

    La famiglia Cervi

    La famiglia Cervi era una famiglia di contadini benestanti. Il signor Alcide, padre dei sette fratelli, era riuscito ad emanciparsi dalla condizione di mezzadro assieme alla moglie Genoveffa e a prendere un podere in affitto a Gattatico, vicino Campegine, nel 1934. Lì costruirono la loro vita, lavorando la terra assieme a Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio ed Ettore.

     

    PASTASCIUTTA ANTIFASCISTA fratelli cervi PASTASCIUTTA ANTIFASCISTA fratelli cervi

    Ma i Cervi erano molto più che semplici contadini. Erano antifascisti. 

     

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    Fu quindi naturale e immensa la gioia che li pervase la sera del 25 luglio 1943, quando tornando dai campi scoprirono che il dittatore Mussolini era stato deposto, arrestato e confinato in Abruzzo dalla monarchia sabauda. Era tempo di festeggiare e mettere fine anche a quella fame che il fascismo aveva regalato a tutto il paese per 20 anni.

     

    Prima degli anni Cinquanta e della diffusione della produzione industriale, l’Italia è sempre stato un paese di persone malnutrite e affamate, che mangiavano male e morivano presto. 

     

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    Gran parte delle persone mangiava solo polenta, a nord, e pane, al sud. Niente pasta, che tra l’altro è molto più nutriente, perché ai fascisti non piaceva. 

     

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    Così, è facile immaginare perché i fratelli Cervi decisero di dare una festa e cucinare quintali di pasta al burro e parmigiano per festeggiare la fine del fascismo. Una pastasciutta antifascista, la prima, che venne cucinata a Gattatico e poi trasportata a Campegine. Nel tragitto la pasta divenne completamente scotta e, nel frattempo, gli altri contadini e contadine cominciarono a rubacchiarne un po’ per placare i morsi della fame. Un’avventura.

    PASTASCIUTTA ANTIFASCISTA PASTASCIUTTA ANTIFASCISTA

     

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    Postilla: perché i fascisti odiavano la pastasciutta?

    Come insegna il sociologo Marco Cerri nel suo libro La pastasciutta dei Cervi, i motivi sono tre. Il primo riguarda il progetto autarchico, perché la pasta si fa col grano e per raggiungere l’autosufficienza cerealicola bisognava consumare poco grano. Il secondo è propagandistico e nasce dai futuristi. Tommaso Marinetti e gli altri si scagliarono contro la pasta dicendo che rammolliva lo spirito, dava sonnolenza e portava al neutralismo, cioè ad essere contrari alla guerra.

     

    Infine, l’ultimo riguarda la logica del ruralismo fascista, che additava la pasta come una moda importata dall’America. Fino agli anni Trenta del Novecento, la pasta era un alimento consumato quasi esclusivamente a Napoli e praticamente sconosciuto nel resto d’Italia. Furono i migranti tornati dagli Stati Uniti a darle nuova vita, dato che tra le comunità italiane d’oltreoceano era un alimento estremamente diffuso.

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    Fu quindi il sentimento anti statunitense dei fascisti, unito ai problemi economici e alla propaganda futurista che portarono il regime a combattere una guerra contro la pasta, tanto che nei suoi primi anni il consumo pro capite era di appena 12 chili l’anno, ridotto ai 9 durante la guerra. Mentre già nel 1954 ci fu un balzo a 28 chili l’anno, stabilizzatosi poi agli attuali 23 a testa.

     

    Per questo, ancora oggi, la pastasciutta resta un simbolo dell’antifascismo. E quest’anno, a 80 anni dalla fine della dittatura, il 25 luglio 2023 verranno cucinate 220 pastasciutte antifasciste in tutta Italia, come annuncia l'Associazione nazionale partigiani d'Italia. Per ricordare i fratelli Cervi, la loro generosità e l’antifascismo su cui si fonda la Repubblica italiana, nonostante qualcuno provi a farcelo dimenticare.

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