Lorenzo Giarelli per il “Fatto quotidiano”
MARCO TRAVAGLIO
Al terzo tentativo, riuscito in pieno, viene quasi da pensare che lo faccia apposta.
Qualcosa tipo: "Quereliamo Il Fatto, così vediamo cos' altro si può dire su di me senza essere condannati". Già, perché con irresistibile sagacia tattica Matteo Salvini ha scelto di contestare in Tribunale al nostro giornale tutto ciò di cui si ritiene offeso.
Il risultato, già tragicomico per alcune denunce passate, è presto detto: asserire che "Salvini si impegna in una doppia pagliacciata razzista e demagogica" non è diffamatorio. A scriverlo è la Gip di Roma Angela Gerardi, che ha appena depositato le motivazioni con cui ha archiviato il direttore del Fatto Marco Travaglio e il giornalista Michele De Lucia, autore della frase incriminata.
matteo salvini con il cupolone (6)
Salvini se l' era presa per un articolo del 2015 che raccontava le sue origini da Comunista padano e da frequentatore dei centri sociali milanesi, tra cui il celebre Leoncavallo, quando ancora difendeva gli occupanti e dispensava elogi ai graffittari ("Vogliamo una città più vivace e colorata"). Nell' articolo il collega riportava poi la suddetta "doppia pagliacciata razzista e demagogica", ovvero un numero telefonico istituito dalla Lega a cui i milanesi avrebbero potuto segnalare gli episodi di criminalità degli extracomunitari (gli altri delinquano pure in santa pace) e la promessa che la Lega avrebbe avviato "le azioni giudiziarie ritenute opportune per stanare i responsabili".
salvini
Propaganda da sceriffo che, repitita iuvant, può essere ricondotta a una pagliacciata senza incorrere in conseguenze penali: "Il giudizio critico dell' autore - scrive la gip - mira ad evidenziare la finalità dell' iniziativa, di tipo evidentemente propagandistico, in quanto diretta a mantenere o conquistare il consenso dei cittadini su un tema particolarmente sensibile come quello della sicurezza".
Ma il linguaggio è stato forse troppo offensivo? Per niente: "Le modalità espressive risultano funzionali alla comunicazione dell' opinione e alla manifestazione di un dissenso politico e, per quanto colorite, non paiono trasmodare in attacchi alla persona e alla sua sfera morale". A prevalere, dunque, è il diritto di critica nei confronti di un personaggio di spicco: "Quanto all' interesse pubblico, esso è insito in qualunque opinione relativa all' attività politica di esponenti e, a maggior ragione, di leader politici eletti dal popolo".
marco travaglio contro renzi a otto e mezzo
Via libera dalla gip, allora, con Salvini che ancora una volta punta a far condannare Il Fatto ed esce dal Tribunale con una incresciosa biografia non autorizzata da lui, ma vidimata dal giudice. A forza di querele-boomerang, si amplia infatti la rosa di epiteti e commenti riferibili a Salvini a prova di legge.
Qualche tempo fa, l' ex ministro riuscì nel difficile autogol di farsi certificare da un giudice il fatto che non abbia mai lavorato in vita sua. Era il gip di Bergamo, che ritenne di non rinviare a giudizio il collega Davide Vecchi per un pezzo sul Fatto in cui si sosteneva che Salvini, ormai impegnatissimo tra comizi e tv, fosse un politico professionista: "Neppure nel suo atto di opposizione alla richiesta di archiviazione - scrisse allora il giudice - Salvini ha potuto dimostrare di aver fatto qualcosa al di fuori della Lega".
salvini
Più recente, ma non meno disastrosa, la querela contro il direttore Marco Travaglio, che in un editoriale lo aveva definito "cazzaro verde" mettendogli in conto più d' una "supercazzola". Anche in quel caso, tutto ritenuto lecito dal gip di Milano e denuncia rispedita al mittente con perdite, visto che nelle motivazioni dell' archiviazione il giudice aveva ricordato come la corretta definizione di "cazzaro", non certo lesiva dell' onore, l' avesse data lo stesso Salvini in sede di querela: "Un millantatore di presunte capacità, virtù e successi, di fatto un fanfarone". Un perfetto autoritratto involontario.