Simone Di Meo per Dagospia
ROBERTO RUJU
Quanto può costare mettere in galera un innocente? Circa 500mila euro. Più o meno la cifra richiesta allo Stato dal giornalista napoletano Roberto Ruju arrestato per violenza sessuale e tenuto ai ceppi, tra carcere e domiciliari, ben sette mesi. Una storia di dolore e frustrazione che il suo avvocato, Maurizio Lojacono, ha ricostruito nell'istanza di risarcimento per ingiusta detenzione presentata, nei giorni scorsi, presso la Corte d'appello del capoluogo campano.
IL CASO DI ROBERTO RUJU
Ruju viene fermato da una volante della Questura di Napoli mentre cammina, da solo, per piazza Garibaldi il 16 novembre 2014. Una ragazza è stata palpeggiata a qualche chilometro di distanza, e i poliziotti sono convinti di aver acchiappato al volo il «bruto». Roba da «Miami vice». È invece «Il Processo» di Kafka all'ombra del Vesuvio: «Qualcuno doveva aver calunniato Josef K., perché senza che avesse fatto niente di male, una mattina fu arrestato».
A Ruju le manette scattano di sera, quasi notte. Dalle ore passate in cella di isolamento, inizia ciò che il legale ha eufemisticamente definito «fantasiosa rappresentazione degli elementi accusatori». Ma che è in realtà una catena di errori clamorosi e sviste pacchiane commessi da una volante dell'Ufficio prevenzione generale.
IL CASO DI ROBERTO RUJU
A cominciare dal riconoscimento all'americana. La vittima, evidentemente sotto choc e ancora preda delle suggestioni del momento, indica Ruju in Questura, subito dopo il fermo. E lo fa sulla base di una identificazione di abiti e occhiali assai singolare. I poliziotti affermano che l'abbigliamento sia stato descritto loro dalla vittima, la vittima giura di non averne mai parlato.
Inoltre, la ragazza sostiene che il maniaco si sia masturbato sulla sua borsa. Ruju immediatamente chiede al gip di sottoporsi al test del Dna. Si scoprirà che sull'accessorio della vittima non ci sono tracce organiche. Qualcosa in più su quella notte di follia viene fuori dalle immagini riprese da una telecamera di sicurezza puntata proprio sul portone dove si sarebbe verificata l'aggressione. A processo, però, tutti i poliziotti «dimenticano» di specificare che il timer delle immagini video è spostato di 7 minuti avanti rispetto all'orario indicato. Il che smonterebbe di fatto la loro ricostruzione.
IL CASO DI ROBERTO RUJU
Affermano invece che il timer è spostato 7 minuti indietro, mantenendo così il castello accusatorio in piedi ma traballante. Le indagini difensive dimostrano l'«errore» degli investigatori e smontano pure l'elemento che ha tenuto l'imputato quasi un mese nel reparto dei crimini sessuali di Poggioreale: il tentativo di fuga. Messi alle strette dall'avvocato Lojacono, le divise sono costrette a sconfessare quel che hanno scritto nel verbale di fermo: Ruju non ha mai tentato la fuga anzi – affermano a dibattimento – aveva regolarmente consegnato i suoi documenti di identità all’atto della richiesta.
IL CASO DI ROBERTO RUJU
A chiudere il cerchio ci sono i selfie e le chat Whatsapp scambiati dal giornalista con un'amica negli stessi momenti in cui il vero bruto assaliva la povera ragazza, a parecchi chilometri di distanza. È lo stesso pm, preso atto degli errori investigativi, a chiedere l'assoluzione. Il giudice riconosce la non colpevolezza di Ruju. Sul profilo Facebook di un agente di quella volante ancora oggi c'è il link dell'arresto del giornalista esibito come un trofeo. Quello che dovev'essere un premio alla sagacia da sbirro sarà invece l'imperitura testimonianza all'incapacità.