Poco prima di morire in un carcere siberiano #AlexeyNavalny scriveva per San Valentino alla moglie Julija: “Tra noi ci sono luci di decollo di aeroporti, tempeste di neve blu e migliaia di chilometri. Ma sento che sei vicino e ti amo sempre di più”. Uno di meno, presidente Putin
— Carlo Verdelli (@CarloVerdelli) February 16, 2024
Dal profilo Twitter di Roberto Saviano
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La trombosi che ha ucciso Aleksej Navalny, mentre era detenuto in un gulag a 2000 km da Mosca, è diretta conseguenza di anni non di detenzione, ma di tortura. È anche così che si uccidono i dissidenti, è così che ci si libera degli oppositori: fiaccandoli nel corpo oltre che nello spirito.
Navalny, nel 2020, dopo l’avvelenamento, poteva rimanere in Germania, invece ha deciso di rientrare in Russia, sapeva che sarebbe stato arrestato, ma ha voluto con consapevolezza portare il suo corpo in carcere. Socraticamente, l’ingiustizia devi viverla per renderla riconoscibile, per mostrarla, per contrastarla. Aleksej Navalny era il principale oppositore di Putin: lo hanno fiaccato fino a portarlo alla morte.
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