Andrea Greco per “Affari & Finanza - la Repubblica”
MUSTIER ELKETTE
Lo strapotere di Intesa e l' azzeramento dei tassi hanno rallentato il piano al 2023, determinando l' arrivo dell' ex ministro alla presidenza. Ma il ceo Mustier si mostra deciso a respingere fusioni dai benefici incerti Q uale Unicredit presiederà l' economista ex ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan? La risposta è volatile almeno quanto i mercati nella guerriglia del Covid, perché la "prima banca paneuropea" pare da otto mesi impantanata. Il piano al 2023, diffuso solo 11 mesi fa e che aveva per cardine il ritorno alla remunerazione degli azionisti, in tre mesi si è schiantato sul muro della Bce, che l' ha vietata per tutti, in modo da prepararsi agli oltre mille miliardi di nuove perdite su crediti attesi a livello europeo.
PIERCARLO PADOAN CON ELKETTE DI UNICREDIT
La visione esterofila ostentata dall' amministratore delegato Jean Pierre Mustier, e di cui quel piano era permeato per mettere in sicurezza dal rischio Italia attività e raccolta, si è scontrata con la ripresa della deglobalizzazione e con le mosse della Bce, che hanno portato sotto zero il costo del denaro, e quasi a zero i tassi dei Btp e i margini della banca su 479 miliardi di prestiti.
Il mantra "niente fusioni", condotto caparbiamente dal capoazienda da un paio d' anni (dopo averne mancate un paio in Francia e Germania), è incalzato dal gran ballo che coinvolge, volenti o no, molti istituti europei e specialmente italiani. Proprio qui, infatti, in agosto si è chiuso il blitz di Intesa Sanpaolo su Ubi, che ha riaperto i giochi e dato un vantaggio forse incolmabile al primo operatore domestico, che si è scelto la "preda" migliore e ha oggi oltre il 20% nei principali mercati.
Quasi il doppio di Unicredit, pari a ricavi italiani ormai quasi al triplo.
Non è solo un fatto di volumi: la rivale ha un modello diversificato ritenuto da molti investitori più efficace, poiché oltre metà delle entrate vengono da commissioni su risparmio gestito e servizi assicurativi, attività che non richiedono capitale e piuttosto anticicliche rispetto al credito e al Pil.
PIER CARLO PADOAN CANDIDATO PD
Peraltro, molti grandi imprenditori e banchieri italiani raccontano, da tre anni, lo strapotere del gruppo guidato da Carlo Messina, che lascia le briciole a Unicredit in quello che è ancora il suo primo mercato: dove è costretta a faticare per farsi nuovi clienti, e a subire sui grandi condizioni creditizie spesso decise dalla rivale. Purtroppo per Unicredit, è uno scenario competitivo che penalizza anche le quotazioni, con gli investitori esteri che preferiscono comprare Intesa se devono esporsi sul settore italiano, malgrado Unicredit nel 2020 stia performando meglio di rivali come SocGen, Santander, Bbva, Hsbc, Lloyds.
Tutto questo non dovrebbe dar luogo a grandi ripensamenti strategici fra quattro mesi, con la revisione del piano 2019. La perdita borsistica, che da gennaio sfiora il 50%, complica ogni discontinuità strategica come lo scambio di azioni in carta con banche rivali o la quotazione delle attività estere societarizzate (lo "sconto holding" da lasciare ai compratori sarebbe enorme).
Il tema dello scorporo, per ridurre i costi di risoluzione e gli intrecci infragruppo, comunque procede. Il management secondo più fonti lavora a uno schema definitivo che dovrebbe riflettere quello annunciato, di scorporo in una società italiana non quotata delle attività estere (ce n' è per metà degli attivi). Sul resto si prepara quella che ai piani alti di piazza Gae Aulenti definiscono una "evolution, not revolution", per riorganizzare le priorità del piano Team 23 alla luce della pandemia, accelerando operazioni in digitale.
carlo messina
Quanto alla remunerazione, pur essendo stato Mustier tra i principali fautori dello stop ai dividendi a marzo, oggi appare in buona posizione per ottenere, quando la Vigilanza toglierà il veto, un nuovo via libera per erogare agli investitori, nell' arco del piano, i 16 miliardi di euro tra cedole, riacquisti e ripresa di quotazione annunciati. Uno studio di Morgan Stanley ha indicato Unicredit tra le quattro banche europee più favorite al riguardo, con Credit Agricole, Rabobank e Kbc.
L' ipotesi di un ritorno alla normalità, quale che sia, non è comunque troppo incoraggiante per una banca che quattro anni fa ha puntato sul riassetto delle attività creditizie a scapito di altre forme di ricavo: e che pertanto, dopo aver ceduto Pioneer, Fineco, Pekao e altro, si trova più in difficoltà per il crollo dei tassi.
Intermonte ha ridotto ancora le stime sul margine d' interesse 2020, che vede scendere a 9,6 miliardi (dai 10,2 del 2019), a fronte di commissioni in ripresa nel terzo trimestre, ma che sull' anno caleranno a 5,98 miliardi (dai 6,3 miliardi 2019). Voci dei ricavi che Intermonte vede ridursi anche l' anno prossimo. Sul fronte costi, quello dei crediti salirà invece, e molto: gli accantonamenti per perdite, che a giugno erano già quasi raddoppiati a 2,2 miliardi sui 12 mesi prima, Intermonte li ha posti a 5,44 miliardi, a portare in rosso l' ultima riga dei conti per 1,9 miliardi.
Tra cifre più rosse che nere, la tentazione della "discontinuità" cresce. Sia tra gli "italiani" del cda, che ha nel vicepresidente Lamberto Andreotti e in Stefano Micossi due leader, e ispiratori della cooptazione di Padoan, per «aumentare la gravitas istituzionale e romana della banca», dice un osservatore. Sia tra qualche azionista, disposto a dare più fiducia al management (in scadenza tra sei mesi) se ci fosse una nuova storia di crescita da raccontare.
GOLDMAN SACHS
Anche gli analisti più esperti trovano questa fase propizia per chi volesse fare aggregazioni, specie in ottica "difensiva": l' ultimo studio di Goldman Sachs, nel solco di quello di Mediobanca della settimana prima, consiglia alle banche europee più grandi e diversificate geograficamente di tentare la crescita esterna; e menziona Unicredit e Intesa nelle sei prescelte su 29 vagliate. È noto che in Italia ci siano diversi gruppi "in vetrina", che la squadra di Mustier sta studiando: a partire da Mps e Banco Bpm. La prima venduta dal Tesoro azionista, probabilmente con dote miliardaria. La seconda, vecchio pallino delle gestioni sia di Alessandro Profumo che del successore Federico Ghizzoni, che darebbe nuovo impulso alla presenza in Lombardia, la regione più remunerativa ma dove Unicredit è la terza forza in campo.
Al momento sembra esserci più negoziato con Mps, benché cauto e difficile a realizzarsi. Tuttavia, Mustier sembra trattare i due dossier più per cortesia istituzionale o per non perdere opzioni strategiche, convinto che il costo delle acquisizioni, specie quelle a più alto rischio di esecuzione (vedi Siena, dove c' è un nodo legale da 10 miliardi) sia molto eccedente rispetto alla convenienza di riacquistare azioni proprie.
Uno schema semplice, che gira nella squadra del banchiere francese, lo riassume: se Unicredit comprasse azioni proprie per 4 miliardi (è circa quanto pagato da Intesa Sanpaolo per Ubi), aumenterebbe di colpo e del 33% l' utile per azione, a fronte di maggiori utili stimati nel 7-9%, e solo dal terzo anno, del polo Intesa- Ubi. Su tali scenari e numeri si dispiegherà ora l' influsso di Padoan e la sua capacità di mediazione a Roma e dintorni, per indurre il cda di Unicredit a eventuali cambi di linea.