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    “QUANDO RIPENSO AL PASSATO HO LA SENSAZIONE DI NON ESSERE MAI STATA FELICE” - LA VITA TRISTE DI MARIA JOSÈ, LA “REGINA DI MAGGIO”: L’INFANZIA FELICE, LA PASSIONE INESPRESSA PER IL MARITO UMBERTO ALLA QUALE ERA STATA PROMESSA A 11 ANNI, IL PROGETTO DI UN GOLPE CONTRO MUSSOLINI SFUMATO ALL’ULTIMO - DA ANZIANA LA IRRITAVANO INCHINI, BACIAMANO, FORMALISMI E… - IL LIBRO DI LUCIANO REGOLO FRUGA


     
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    Silvia Stucchi per “Libero quotidiano”

     

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    La "Regina di maggio" che emerge dalle pagine della biografia di Luciano Regolo, Maria José. Regina indomita (Edizioni Ares, 774 pp., 29, 90 euro) è una donna troppo, troppo moderna, per i suoi tempi. L'ampio volume, corredato da un Invito alla lettura di Maria Beatrice di Savoia, dalla prefazione di Francesco Perfetti e dalla postfazione di Donatella Bolech Cecchi, offre il ritratto di una donna che, nella sua lunga esistenza (nata nel 1906 a Ostenda, morì in Svizzera nel 2001), ha attraversato tante vite diverse.

     

    E il volume queste età le rievoca tutte, a partire dall'infanzia, definita Gli anni felici del "leoncino" di Laeken (leoncino perla criniera di capelli ricci), sino al tempo della formazione al collegio fiorentino di Poggio Imperiale, per arrivare al matrimonio con il futuro Umberto II, - anche se Regolo analizza con molta acribia i retroscena di quell'unione -, e poi agli anni della guerra e quelli dell'esilio, della vecchiaia in Messico, e, infine, il ritorno in Svizzera, quando Maria José coltivò la passione per storia e scrittura.

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    PIÙ TORMENTI CHE GIOIE

    Umberto parlò sempre con grande stima e affetto di Maria José, ma, dall'unione con quel compagno di vita che le era stato destinato fin da quando era undicenne, la "Regina di maggio" ricevette più amarezze che gioie, vuoi per il contesto politico dell'Italia fascista, vuoi per la natura introversa e tormentata del marito, vuoi per le consuetudini della famiglia Savoia, dove, si diceva, «si regna uno per volta».

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    Suo malgrado, il Principe non poté renderla felice, e, giorno dopo giorno, si infranse l'aspettativa di quell'attrazione, coltivata fin da quando la regina era bambina. Eppure, come emerge dalle pagine di Regolo, il principe di Piemonte restò l'unico grande amore della sua vita.

     

    Può darsi che l'affetto, la stima, la complicità intellettuale e la solidarietà che fino all'ultimo Maria José serbò per Umberto fossero state il ripiego di una passione inespressa, o compromessa. La regina, tuttavia, anche negli anni successivi alla scomparsa del consorte, non tradì mai alcun risentimento nei suoi confronti, e non lo incolpava né delle sue sofferenze né delle tragedie vissute dall'Italia dopo il 10 giugno 1940.

     

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    «Quando ripenso al passato ho la sensazione di non essere mai stata completamente felice. Mi sembra che in ogni momento della mia vita ci sia stata un'ombra a offuscare la mia serenità», dirà Maria José, nel 1994, all'autore del volume, escludendo da quella cappa grigia solo gli anni dell'infanzia.

     

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    Una volta sposata, Maria José fu vicina alla suocera, la regina Elena: pur se così diverse, le due donne avevano un tratto comune, l'animo retto, nonostante il carattere della principessa, indipendente, impulsiva, financo caparbia. Non ci furono mai scenate ma le consuetudini di Casa Savoia, in cui la sincerità veniva spesso sacrificata all'obbedienza, fecero più volte sentire Maria José un pesce fuor d'acqua.

     

    La consorte del padre di Umberto II, Vittorio Emanuele III, la regina Elena, in questa famiglia, era un personaggio di cui la "Regina di maggio" ricorderà spesso la bontà, la sollecitudine nei confronti dei bisognosi- andò di persona, per esempio, a portare soccorso ai terremotati di Messina nel 1908 -, e la semplicità di maniere. La Regina Elena non amava Mussolini, ma era troppo discreta, troppo convinta che la consorte del sovrano non dovesse esprimere opinioni personali, Maria José, invece, cresciuta in un contesto ben diverso, arrivò a progettare addirittura un golpe: nel 1938, dopo che il 12 settembre il Congresso di Norimberga si era concluso con la risoluzione di prendere i Sudeti con la forza, Mussolini aveva lasciato intendere che la guerra mondiale fosse ormai dietro l'angolo, e che l'Italia sarebbe stata alleata della Gemania.

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    Una prospettiva che a Vittorio Emanuele III non piaceva per nulla, tanto che il Duce, al genero Ciano, aveva confidato in uno sfogo di essere delusissimo di come il re non avesse mai fatto un gesto impegnativo per il regime, ma di attendere pazientemente, perché il sovrano aveva ormai settant' anni.

     

    A rivelare questi fatti è un clamoroso documento inglese, archiviato dal Foreign Office, che presenta Umberto, Maria José e Badoglio comprimari nell'organizzazione di un colpo di Stato, insieme a Rodolfo Graziani, capo di Stato Maggiore dell'esercito, e a un anonimo «avvocato di Milano», in cui qualcuno ha voluto vedere Carlo Aphel legale degli Agnelli. Il documento che attesta il tentato golpe è stato rinvenuto da D. Bolech Cecchi al Public Record office di Londra, nella cartella 397 (Private Office Papers): in questo fasciolo si trova, fra gli altri, un rapporto dattiloscritto, classificato come most secret, datato 27 novembre 1939.

     

    COLPO DI STATO

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    Il contenuto è il riassunto di un racconto fatto all'ambasciatore britannico al Cairo dal fratello o sorella di un non nominato avvocato milanese, che sarebbe stato convocato da Maria José a Racconigi il 24 settembre 1938. Il motivo? La principessa, inorridita dalla piega degli eventi recenti, voleva chiedere all'avvocato, che sarebbe stato a capo di un «movimento antifascista che doveva godere di notevole influenza in tutta Italia», il sostegno per il colpo di stato militare che, guidato da Badoglio e Graziani, avrebbe dovuto rovesciare il fascismo e mettere sul trono il figlio di Maria José e Umberto, il principe di Napoli, sotto la reggenza della madre.

     

    Ma il colpo di Stato sarebbe sfumato a causa dell'improvviso annuncio dell'incontro a Monaco fra Hitler, Chamberlain, Mussolini e Daladier, che mutò le premesse relative agli equilibri europei necessari per il golpe. Allora, forse, la nostra storia sarebbe stata molto diversa: ma così non fu, e non per debolezza di Maria José.

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    Quella che, fin dagli anni Trenta, venne scambiata per freddezza, era in realtà timidezza, una sorta di disagio che in Maria José si accentuava quando intuiva che, da parte dell'interlocutore, non c'era genuinità. Anche da anziana, la irritavano inchini, baciamani, appellativi regie formalismi se denunciavano una deferenza tutta fine a se stessa, in cui non aveva mai creduto. Le dispiaceva che fossero misconosciute quelle caratteristiche che davvero per lei hanno contato e che questa lunga e appassionante biografia sottolinea in ogni pagina: l'indipendenza, difesa e reclamata ogni giorno, e la dignità, al di sopra di ogni interesse contingente.

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