Marco Imarisio per il "Corriere della Sera"
conte di maio
L'ultima sconfitta dell' Atene elettronica è definitiva. Gianroberto Casaleggio ha perso la guerra che aveva dichiarato in un libro del 2011, quando con Beppe Grillo scrisse un volume che aveva come sottotitolo La Rete contro i partiti , e quella precisazione sembrava un modo per dire che in realtà era solo farina del suo sacco, era lui che sapeva di Internet, non l' altra metà del Movimento.
PAOLA TAVERNA PRIMA DOPO
Ma allora tutto sembrava ancora così incerto. Quei due, considerati visionari o matti o entrambi, teorizzavano che in attesa dell'avvento della democrazia digitale e diretta ispirata all' età d'oro di Pericle, per meglio rispondere al popolo e servirlo, ai cittadini eletti sarebbe stato più conveniente lasciare la catena corta.
Che non si sa mai. E così l'anno seguente, quando apparve il Codice etico del Movimento 5 Stelle, all' articolo 2, sotto la voce «Obblighi per i soggetti candidati», si leggeva che ciascun associato doveva obbligarsi, in particolare, «a non presentare la propria candidatura per una carica elettiva, qualora siano già stati esperiti dall' iscritto n. 2 mandati elettivi», di ogni ordine e grado.
ALFONSO BONAFEDE GIUSEPPE CONTE
Il Codice etico, più ancora del Non Statuto che ne era la traduzione, rappresentava le tavole della legge, ideate e redatte da Casaleggio in persona, come ammise lui stesso in una lettera al Corriere della sera dello stesso anno, quando di questa figura sconosciuta si parlava ancora come del «piccolo fratello» di Grillo, con riferimento a 1984, il romanzo di George Orwell. «È evidente che non lo sono» scriveva. «La definizione contiene però una parte di verità. Grillo per me è come un fratello, un uomo per bene che da questa avventura ha tutto da perdere a livello personale».
conte di maio
Basta leggere queste ultime righe per capire quanto debba essere costata all' ex comico genovese la sua sostanziale astensione sul tema della regola dei due mandati, decretata ieri a malincuore con l'affidamento della parola definitiva sul tema a un referendum tra gli iscritti, che però potrebbe anche rivelarsi una tagliola sul cammino di Giuseppe Conte.
Perché il feticcio del cittadino che lascia le sue cariche e torna a casa è ancora ben presente nell' immaginario collettivo del vecchio Movimento. Non è un caso che nel suo messaggio di addio al Movimento, Davide Casaleggio abbia citato l'Atene di Pericle e il vincolo del doppio mandato che rappresentava l' architrave di quella utopia, come se volesse rivendicare l' eredità del padre.
roberto fico biennale architettura venezia
L'ultimo tabu cade perché come lo stesso Grillo ha ammesso l'anno scorso, «una classe dirigente non può essere inventata su due piedi». E siccome ormai non resta più niente dell'identità del Movimento, «Il No alla Tav è nel nostro Dna», «Siamo come i Panda, non ci alleeremo mai con nessuno» e la democrazia diretta viene rimandata a data da destinarsi con l'addio alla piattaforma Rousseau, ecco che nel ripudio dell'ultimo lascito di Casaleggio padre, uno non vale più uno, anzi ce n'è almeno una dozzina che conta molto più degli altri. Salvo qualche rara eccezione titolare di carica istituzionale come Roberto Fico, sono tutti fedelissimi di Luigi Di Maio, destinati a formare la nomenclatura del nuovo Movimento, visto che l'ex presidente del Consiglio è sprovvisto di truppe proprie.
laura castelli con mascherina
I nomi sono sempre quelli. Lo stesso Di Maio, Fico per le ragioni di cui sopra, e poi Alfonso Bonafede, forse l'unico che ha davvero varcato il Rubicone a favore di Conte, Vito Crimi che ha portato la croce della reggenza, inciampando parecchie volte, Paola Taverna che fu di lotta estrema e ora pare una dorotea, Laura Castelli che già ai tempi del governo con la Lega dichiarò fede incondizionata nell'attuale ministro degli Esteri, e poi Roberta Lombardi, Davide Crippa, Danilo Toninelli, Carlo Sibilia, Fabiana Dadone, fino a Stefano Buffagni, che spesso parla fuori dal coro ma è l'unico legame del Movimento 2.0 con Milano e quindi resterà.
LUIGI DI MAIO VITO CRIMI
La lista dei salvati magari sarà un poco più lunga, ma non si uscirà comunque da questo seminato made in Pomigliano d' Arco, a riprova del fatto che non sarà solo con Grillo che Conte dovrà spartire lo scettro. I sommersi destinati a un ritorno alle loro professioni originarie saranno molti di più. Anche la logica dei sondaggi che lascia intendere come i posti a sedere nel loggione del terzo mandato siano limitati. Senz'altro insufficienti per far accomodare gli altri cento in attesa di uno strapuntino.
STEFANO BUFFAGNI
A questo numero ci si arriva sommando cinquanta deputati, diciannove senatori, e una quarantina di consiglieri regionali, che da tempo stanno pensando a mosse e destinazioni future. Un plotone di scontenti al quale non mancherà certo il materiale d' archivio per rinfacciare scarsa coerenza ai capi politici del vecchio Movimento 5 Stelle. Non solo a Grillo, si intende. Con il suo ultimo tweet del 31 dicembre 2018, prima degli auguri di buon anno, Di Maio scrisse che la regola dei due mandati era certa come «l' alternanza delle stagioni». Ma si sa che non esistono più le mezze stagioni, e forse neppure quelle intere.