Francesco Olivo per “la Stampa”
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Per capire il livello dello scontro dentro la Lega non occorre arrivare fino a Mosca, basta restare a Torino. Il viaggio a Mosca è congelato, forse rimandato o persino annullato. Ma pur non essendosi ancora imbarcato per la Russia, l'idea di Matteo Salvini ha fatto esplodere tutte le contraddizioni che nella Lega covavano da anni. Per i governisti le manovre del segretario con piani di pace, incontri segreti, diplomazie parallele e fantomatici consulenti esterni, stanno mettendo a repentaglio il partito. Specie quando si sparge la voce di un incontro con l'ambasciatore russo a Roma Sergey Razov, durante i primi giorni della guerra.
zaia salvini
Giancarlo Giorgetti si smarca e richiama il segretario: «Bisogna muoversi di concerto con il governo». In evidente difficoltà, i salviniani passano alla controffensiva, insinuando che dietro all'addio al centrodestra comunicato ieri dall'ex candidato sindaco di Torino, Paolo Damilano, ci sia una sorta di operazione del ministro per screditare il leader, tanto più che l'imprenditore parla di «deriva populista» della coalizione.
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Il fatto non è dimostrato e ha come unico indizio lo stretto legame di amicizia tra Giorgetti e l'imprenditore piemontese, fondatore della lista Torino Bellissima, ma la questione rilevante è l'interpretazione che danno della vicenda torinese i fedelissimi, quelli rimasti, del segretario: l'addio di Damilano infatti, sarebbe l'ennesima mossa dell'ala governista, che lavorerebbe incessantemente per indebolire Salvini, considerato troppo poco incline ai compromessi con Draghi. Il sospetto di Salvini è che queste presunte manovre abbiano come scopo finale quello di mantenere l'attuale schema di governo (con o senza Draghi), anche dopo le elezioni del 2023.
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Accusare Giorgetti quindi, spiegano alcune fonti leghiste, è di fatto un modo per uscire dall'angolo nel quale Salvini si è ritrovato dopo le pubblicazioni dei suoi piani diplomatici autonomi. Ma le perplessità riguardo «l'iniziativa di pace» del segretario vanno molto al di là dei cosiddetti governisti. Il silenzio intorno alla missione del segretario è durato oltre tre giorni, i messaggi di solidarietà sono arrivati solo nella serata di ieri con una batteria di dichiarazioni secche, ma certo non tempestive.
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Man mano che sono emersi i dettagli della trasferta e leggendo le dichiarazioni del consulente Antonio Capuano, la situazione è peggiorata e qualcuno è anche uscito allo scoperto, seppur con il linguaggio felpato con il quale si critica il leader in un partito leninista come la Lega.
Il fatto rilevante è che a esporsi sono due esponenti di peso e considerati un contropotere rispetto a Salvini, il governatore del Veneto Luca Zaia e appunto Giorgetti. Zaia dopo aver esibito la sua totale estraneità alle mosse del segretario, «non ne so nulla, anch' io leggo la stampa, vedremo quali saranno gli sviluppi. Non so assolutamente nulla di più», ha aggiunto, «penso che il percorso di pace debba essere in mano alla diplomazia».
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Giorgetti va molto in là, giudica il piano della coppia Salvini-Capuano «suggestivo», ma aggiunge che «bisogna muoversi di concerto col governo. Sono questioni di portata mondiale, quindi ciascuno deve dare il suo contributo, ma all'interno di percorsi che sono molto molto complicati». Il ministro dello Sviluppo economico ammette che «in certe situazioni lo scoramento pervade. Dopodiché c'è un senso di responsabilità che fa sì che Draghi si faccia carico di prendere la croce e la porti avanti fino in fondo». Una situazione di cui forse anche il presidente del Consiglio, secondo il ministro, «ne ha piene le scatole». Un'altra prova, ragionano i salviniani, che «Giorgetti ha un altro leader da difendere». -
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