Estratto dell'articolo di Giuseppe Salvaggiulo per “La Stampa”
AULA DI TRIBUNALE
Scene da teatro eduardiano al Csm. Protagonista un giudice napoletano, Ernesto Anastasio. Magistrato dal 1999, ha un problema: non scrive le sentenze. A centinaia, facendo infuriare gli avvocati. Per questo la Procura generale della Cassazione gli contesta «la violazione dei doveri di diligenza e laboriosità» e ne chiede la sospensione urgente da funzioni e stipendio.
Lui si difende, con tanto di certificato medico e perizia psicologica: rifiuta il lavoro perché non è quello che sognava. Voleva fare il poeta, ma il «complesso rapporto» col padre principe del foro lo portò alla giurisprudenza. Con la toga addosso non si sente realizzato.
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Per difendersi, Anastasio deposita un certificato medico e chiede una perizia. Il Csm incarica Stefano Ferracuti, docente di psicopatologia forense alla Sapienza, «di accertare l'esistenza di patologie in grado di incidere sulla condotta del giudice».
Toghe in un'aula di tribunale
Il professor Ferracuti lo visita due volte, sottoponendolo a test mentali. Infine dà il responso: Anastasio non ha «patologie tali da scemare o escludere la capacità di intendere e volere, ma è portatore di un disturbo di personalità. Unito a una serie di difficoltà esistenziali e personali, porta a una oggettiva procrastinazione e irresolutezza nell'adempiere i doveri professionali.
Per un verso è completamente consapevole della problematica, per altro verso non è in grado di opporsi a questa sua tendenza interna». Il perito scopre nell'inconscio del giudice «un problema molto più antico: si trova a svolgere un ruolo professionale che non è in alcun modo soddisfacente per i suoi obiettivi esistenziali, e le conseguenze sono quelle che si rilevano. Si è trovato a fare un lavoro che per lui non genera alcun tipo di soddisfazione personale o esistenziale; i suoi interessi, la sua immaginazione e il suo desiderio di realizzazione sono orientati in altri campi. Ha una notevole intelligenza e cultura letteraria, interessi poetici, ciò che a lui effettivamente interessa, e questo pone un problema complessivo di adeguamento al ruolo, perché è in una parte in cui non si trova bene».
tribunale
Il giudice non voleva fare il giudice, ma il poeta. «Era molto più dotato per lettere», dice il perito. Probabilmente si iscrisse a giurisprudenza per seguire le orme del padre avvocato.
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IL GIUDICE CHE AMA LA POESIA E NON SCRIVE PIÙ LE SENTENZE
Estratto dell'articolo di Alfio Sciacca per il “Corriere della Sera”
«Non sono un idiota che si diletta a scrivere poesie e combina solo scelleratezze sul lavoro... qualcosa la capisco anche io e posso dire che in Italia non è vero che vanno separate le carriere di giudici e pm, ma quelle tra Civile e Penale. Ma questa è una verità della quale non si vuole nemmeno sentir parlare».
Davanti alla Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura il giudice Ernesto Anastasio non ha negato il suo grande amore per la poesia, ma ha provato anche a difendersi.
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CSM
Insomma il giudice Anastasio è conscio di aver «combinato un macello», come non nasconde la passione per la poesia sulla quale si è soffermato a lungo con il perito nominato dal Csm. Sullo sfondo anche una difficile situazione familiare, l’obiettivo mancato dell’ingresso in polizia e persino l’ombra lunga del padre, ex principe del Foro, proprio nel Civile da lui tanto odiato.
Una situazione che avrebbe determinato un forte disagio per il quale ha prodotto anche dei certificati medici. Ma in queste condizioni può continuare a fare il giudice? Da qui la perizia, per accertare eventuali patologie, assegnata a Stefano Ferracuti, docente di psicopatologia forense alla «Sapienza» che l’8 giugno scorso ha esposto le sue conclusioni. Per il perito il giudice avrebbe «un disturbo di personalità che lo porta a procrastinazione e irresolutezza nell’adempiere determinate mansioni».
CSM
«Appare — aggiunge — consapevole del problema, ma allo stesso tempo non è in grado di opporsi a questa spinta interna... si trova a fare un lavoro che non genera in lui alcuna soddisfazione essendo tutti i suoi interessi orientati in altri campi, letterari e poetici, e questo non è in alcun modo soddisfacente per i suoi obiettivi esistenziali». In pratica «si sente oppresso dal lavoro... quello che fa non è quello che avrebbe voluto e tende a boicottarlo. Lo sa, ma allo stesso tempo può far poco per evitarlo... si trova a vivere una vita che non avrebbe voluto vivere ed ha difficoltà ad uscirne». Anastasio ha condiviso in ogni punto le conclusioni del perito con il quale ha spiegato «mi sono sfogato, senza nascondere nulla del mio dissidio interiore». E dunque cosa fare? «Se in magistratura esistesse la possibilità di un demansionamento — conclude il perito — potrebbe svolgere altre mansioni. Non è idoneo a fare il lavoro di giudice, ma essendo dotato di notevoli qualità, ad esempio, potrebbe fare il bibliotecario».