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    "SCRIVEVO 'SPERO DI MORIRE PRIMA DI DIVENTARE VECCHIO'? HO SEMPRE AMATO SCHERZARE" - IL MITOLOGICO LEADER DEI "THE WHO", PETE TOWNSHEND, PARLA DEI 60 ANNI DELLA BAND BRITANNICA: "IL SEGRETO DELLA NOSTRA FRESCHEZZA? VEDERE TANTI RAGAZZI CHE SEGUONO LA BAND E CONOSCONO A MEMORIA LE NOSTRE CANZONI HA RIDATO UN SENSO ALLE NOSTRE ULTIME TOURNÉE. IN 'QUADROPHENIA' PARLAVAMO DEL PASSAGGIO DALL’ADOLESCENZA ALL’ETÀ ADULTA UNA FASE CHE TOCCA A TUTTE LE GENERAZIONI" - I MOD, LE "ROCK-OPERA", LA SCENA MUSICALE DI OGGI E IL SESSO A 80 ANNI…


     
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    Estratto dell'articolo di Eleonora Bagarotti per la "Libertà"

     

    pete townshend pete townshend

    Gli Who di Pete Townshend stanno per compiere 60 anni. I primi 59, il gruppo li ha festeggiati quest’anno con un trascinante concerto a Firenze. Poi  Townshend è tornato in America, dove la versione musical di “Tommy” è tornata in scena a Chicago, in attesa di Broadway.

    the who the who

    «Io e Roger siamo dei classici su due gambe!», esclama Pete sorridendo mentre, rientrato a Londra dopo una  vacanza in barca, presenta il libretto della rock-opera “Lifehouse”.

     

    Un racconto illustrato di “Lifehouse”. Perché?

    «Dopo l’uscita dell’album “Tommy” ho scritto la sceneggiatura di “Lifehouse”. Io non sono uno sceneggiatore e, pur avendo chiaro in testa il progetto, il risultato era incompleto e  confuso per il resto della band. Il manager Kit Lambert, dopo la rock-opera, voleva che facessimo un disco di canzoni. Quella storia l’avevo costruita attorno ai miei nuovi brani e una selezione è diventata “Who’s Next”. Questo racconto illustrato è come un ponte tra la realizzazione di “Lifehouse”, che ho suonato e registrato senza gli Who molti anni dopo, la sceneggiatura delle origini e il cofanetto appena uscito. Se il libretto illustrato ci fosse stato sin dall’inizio, probabilmente nel 1971 avremmo fatto “Lifehouse”».

    […]

     

    E’ uscito il Deluxe di “Who’s Next”. I cofanetti con inediti sono il colpo di coda della discografia?

    pete townshend pete townshend

    «Per certi versi rappresentano una novità ed è l’aspetto che giustifica i costi piuttosto alti.  Nel 2000  lanciai il cofanetto di “Lifehouse”, andato esaurito. Ora  le tracce si ritrovano nel Deluxe di “Who’s Next”, con i live e i vari approfondimenti. Sono soddisfatto dalla pubblicazione degli album degli Who con le ultime tecnologie. Siamo sempre stati molto sensibili a questo aspetto: già la registrazione di “Tommy” fu lunga e complessa, inoltre in concerto utilizzavamo la quadrofonia prima di “Quadrophenia”».

     

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    Un’opera che ha compiuto 50 anni e  non li dimostra.

    «Diciamo che è una splendida cinquantenne, più affascinante di altre donne più giovani (risata, ndr)».

     

    Qual è il segreto della sua freschezza?

    «Negli ultimi anni, mi ha letteralmente sorpreso vedere tanti ragazzi che seguono la band e conoscono a memoria le nostre canzoni, incluse quelle di “Quadrophenia”. […] Riscontrarlo ha ridato un senso alle ultime tournée degli Who. I temi di “Quadrophenia” sono  seminali, ad esempio il passaggio dall’adolescenza all’età adulta, una fase che tocca a tutte le generazioni. […]».

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    Gli Who sono stati i portavoce del Mod.

    «Il Modernism nacque addirittura in contemporanea ai Beatles, che pur non essendo mod all’inizio della loro carriera avevano una grande cura nel look, dai capelli ai vestiti. Comunque erano tutti uguali, i mod. Lo erano anche le ragazze, che sembravano maschi e dal palco era difficile distinguere le cose. A sollevare gli animi c’era Julie Driscoll ed era incredibile con quel taglio di capelli corti. Sia i ragazzi che le ragazze volevano essere sexy e cool, alla fine. Solo questo».

     

    […]

    Ora “Tommy - The musical” è in scena a Chicago e in primavera tornerà a Broadway. L’album degli Who ha 54 anni, il film di Ken Russell 49, la versione on stage di Des McAnuff ne ha 30. “Tommy” è eterno?

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    «In ogni Paese del mondo, e lo abbiamo verificato durante gli ultimi tour, tutti citano sempre “Tommy” e “Quadrophenia” come qualcosa che continua ad essere fonte di grande interesse. Riprenderli entrambi, con qualche idea innovativa, mi sembra una buona idea».

     

    Al contrario, quando il rock-drama “Psychoderelict” del 1993 non ebbe il successo sperato , la carriera solista di Townshend chiuse i battenti. E’ davvero finita?

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    «Chi lo sa? Mi frulla in testa un’idea, ci sto già lavorando. Qualche anno fa ho concepito una sorta di plot intitolato “Floss”, poi l’ho trasformato in un romanzo, “The age of the anxiety”.  Stavolta il passaggio non è quello dall’adolescenza all’età adulta, ma di un uomo che vive l’ultima parte della sua vita. Non è detto che le mie nuove canzoni siano adatte a un album degli Who...».

     

    […]

    Nella storia un giovane compositore si confronta con le aspettative della scena musicale londinese. Quanto è cambiata?

    «Molto, basti pensare alle tecnologie che riguardano anche i luoghi in cui si suona dal vivo. Negli ultimi anni sono emersi giovani musicisti “costruiti” a tavolino e lanciati via web. Non è un mondo che mi appartiene, ma lo osservo e cerco di comprenderlo, con un pizzico di analisi critica, felice di aver iniziato negli anni Sessanta».

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    In “The age of anxiety” si fa largo  l’amore. C’è spazio per quel tipo di sentimento nella vecchiaia?

    «La grande questione è l’attesa dell’amore, che non ha età. Ma l’attesa, e forse la voglia, di innamorarsi è uno stato nascente che nutre tutti gli esseri viventi. Bisogna accettare l’attesa, l’incognita. Quando arriverà il momento, non si potrà far altro che innamorarsi di nuovo. Dopo una certa età, parlare di sesso sembra  un tabù. Invece, come scrivevano  Philip Roth e altri grandi romanzieri,  a 80 anni si può perdere la testa in modo improvviso e sensuale».

    ROGER DALTREY E PETE TOWNSHEND ROGER DALTREY E PETE TOWNSHEND

     

    Bel colpo di teatro, per uno che scriveva “spero di morire prima di diventare vecchio”.

    «Ho sempre amato scherzare...».

     

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