Giulia Zonca per “La Stampa”
All'improvviso, quasi alla fine della fase a gironi, tra un'Olanda-Qatar e un Ecuador-Senegal il numero dei morti ufficiali per colpa di questo Mondiale sale a 500.
Così, di colpo: una cifra arrotondata al ribasso, dopo mesi di negazionismo assoluto. Un numero buttato lì come fosse stato pescato in una tombola macabra.
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Saltano fuori centinaia di vittime: dalle 40 dichiarate fino a qui, solo 3 per la costruzione degli stadi, a questo numero che non ha parametri o spiegazioni, salta fuori per calmare le critiche e insieme esasperare un conto che non torna mai. Siamo lontani dalle migliaia di deceduti usciti dalle ricerche delle associazioni umanitaria e sempre rifiutati dagli organizzatori della Coppa del mondo. Siamo lontanissimi dai 6.500 fotografati dall'inchiesta di «The Guardian» che ha incluso tutti gli immigrati morti dal 2010, anno di assegnazione del torneo, alla chiusura dei cantieri. Distanti però pure da tutti i rifiuti mostrati fino a qui.
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In un'intervista, Al-Thawadi, il segretario generale del Comitato Supremo, estrae da non si sa dove una cifra che suona insieme riparatoria e casuale: potrebbe essere un tentativo di ammissione, così come una concessione misera, quasi un insulto. Non si capisce e lui stesso dice: «Non abbiano dati più precisi». Diventa assai difficile comprendere come si sia passati da 40 a 500 e che mondo esiste tra i 500 percepiti oggi dal Qatar e i 6.500 reali, contati nei decessi, per qualsiasi causa, tra i migranti arruolati. Le persone che hanno perso la vita mentre cambiavano la faccia di una nazione altrui.
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Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia, in prima linea nella richiesta di dati certi e responsabilità precise, preferisce vedere il nuovo approccio come un punto di partenza: «Sono le prime ammissioni, anche se parziali e tardive.
È importante insistere perché ci siano indagini trasparenti e a tutto tondo, altrimenti il numero dei morti non si conoscerà mai esattamente». Ad Amnesty interessa insistere e confrontarsi su ogni minima apertura perché loro hanno chiesto alla Fifa 440 milioni di dollari come risarcimento da dividere tra le famiglie delle vittime: «Si devono dare verità giustizia e fondi ai parenti dei lavoratori morti in Qatar». Non ci sono spiragli su questo.
All'apertura dei Mondiali, il capo della Fifa Infantino ha chiesto perché non si pretendono gli stessi fondi per rispondere delle morti dei migranti in Europa.
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Il Qatar cambia atteggiamento, dal silenzio su un argomento trattato sempre come fastidio a frasi retoriche che per lo meno si fanno carico del problema: «Anche un solo morto sarebbe troppo, quello che possiamo dire è che le condizioni degli operai qui sono molto diverse da come erano 12 anni fa». Si torna alle modifiche di una legge che, nell'interpretazione, resta in mano a chi comanda. I toni sono i soliti, il pressapochismo è irritante eppure esiste un fatto.
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Per il Qatar sono morte centinaia di persone ed è successo per il Mondiale, per tutti gli sforzi richiesti senza dare tutele a quel 90 per cento della popolazione che arriva dal Nepal, dall'India, da Bangladesh, da Singapore. Gente che si ritrova tra la disperazione e un'esistenza in solitaria, in case vuote condivise con estranei, in stanze che non ospitano mai meno di cinque persone, se ti va bene e guidi il taxi.
Altrimenti dormitori e giornate tutte uguali che iniziano in piena notte per evitare il caldo e finiscono con file di gente sedute sui marciapiedi ad aspettare il fresco. Spesso ci mangiano su quel marciapiedi e ci socializzano. In un settore dello stadio di Lusail, quello della finale, c'era un murales di facce: un omaggio a chi ha speso fatica per costruire le grandi opere.
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Tutti vivi, per fortuna, e sorridenti e con il pollice alzato. Era il tentativo di mostrare che esisteva anche soddisfazione e partecipazione nei cantieri indagati per vergogna, però pur sempre un tributo. È sparito e anche su quello ci sono più versioni. Dal silenzio stizzito a una spiegazione relativa alla consegna degli stadi mondiali con grafiche e disegni Fifa. Il murales era parte dell'architettura, non un orpello, pare tornerà dopo il 18 dicembre, a Mondiali consumati. Quando forse le centinaia di morti non meglio definiti diventeranno le migliaia di esseri umani che hanno perso la vita. Con un nome, un cognome e un perché.
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