Dario Di Vico per il “Corriere della Sera”
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La grande sagoma della Gemma, la nave cargo per il trasporto delle materie prime ormeggiata da sei mesi al largo del porto di Taranto, si presta a sintetizzare le contraddizioni dell' acciaieria ex Ilva. In un momento di forti tensioni sul mercato dell' acciaio, per la vivacissima domanda legata alla ripresa mondiale e per la lievitazione dei prezzi, Gemma dovrebbe solcare i mari e invece è lì, ferma, a ricordarci l' impasse in cui versa lo stabilimento pugliese.
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La sentenza di ieri del Consiglio di Stato fa chiarezza su poteri e competenze delle autorità locali e introduce un elemento di certezza. Ma è solo un passo, Taranto ha bisogno di altre sicurezze sia per quanto riguarda la bonifica ambientale dell' impianto sia per ciò che concerne il suo futuro.
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Come detto e ripetuto cento volte l' ex Ilva è un asset decisivo per le ambizioni dell' Italia manifatturiera, senza l' acciaio che viene dal secondo impianto siderurgico d' Europa la nostra industria meccanica di trasformazione non avrebbe gli approvvigionamenti necessari, in quantità e qualità, per lavorare con la necessaria programmazione.
Lakshmi Niwas Mittal
Già oggi mancano i coils a Cornigliano e la stagione della raccolta del pomodoro rischia di andare sprecata perché manca alle aziende alimentari la banda stagnata destinata alle lattine. Incredibile.
E' risaputo però che cittadini non la pensano allo stesso modo degli acciaieri del Nord o dello stesso governo nazionale ma questa distanza va recuperata e chiusa. Sono stati messi sul piatto 2,5 miliardi di euro per il rilancio dell' ex Ilva e ci sono quindi le condizioni per ridurre le emissioni inquinanti, per tenere aperta l' area a caldo e per far partire i nuovi forni elettrici. Ci sono le condizioni per voltar pagina.
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E' questa la base per ricucire il rapporto con il territorio, una base francamente più solida della ventilata ipotesi di sponsorizzare con centinaia di migliaia di euro il Taranto Calcio appena promosso in serie C. Ipotesi che per altro ha generato l' ira dei tifosi e non l' attesa benevolenza.
Archiviato il contenzioso in sede di Consiglio di Stato ora si tratta, come chiedono anche i sindacati e come reclamano gli imprenditori dell' indotto, di accelerare i tempi per riportare l' impianto a produrre acciaio e richiamare così i lavoratori dalla cassa integrazione (uno spreco incredibile in una stagione in cui la domanda di acciaio è ai massimi).
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Il vecchio consiglio di amministrazione può approvare il bilancio 2020 e dare così il via all' insediamento del nuovo che registra le discontinuità legate all' ingresso di Invitalia come azionista di minoranza grazie alla prima tranche di 400 milioni (pari al 38% del capitale).
Ma assieme al completamento delle procedure, una volta deciso che Taranto è strategica, lo Stato deve muoversi con determinazione per rimettere ordine nelle tante contraddizioni che l' ex Ilva continua a portarsi dietro. Non escluso il rapporto con l' azionista privato, la multinazionale Arcelor Mittal, che fino al momento in cui Invitalia diventerà azionista di maggioranza (maggio 2022) avrà comunque pieni poteri in azienda seppur con il 50% dei diritti di voto.
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La prova che ci si aspetta dai fatti è che non esiste nessun conflitto di interesse tra la presenza di Arcelor Mittal a Taranto e gli altri stabilimenti europei e quindi la produzione può ripartire a pieno ritmo. Del resto con i prezzi dell' acciaio di oggi nessun capo-azienda che si rispetti manterrebbe l' impianto a scartamento ridotto. E l' obiettivo di produrre almeno 5 milioni di tonnellate nel 2021, come indicato dai sindacati, è plausibile.
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Se il tempo che intercorre tra oggi e il giorno in cui Invitalia prenderà il controllo della società dovesse ancora riproporre quest' equivoco di interesse avremmo commesso l' ennesimo errore.