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    ''IL MONDO VISTO DA UNA CARROZZELLA? NON TI PONI PIÙ IL PROBLEMA DI CHI GUIDERÀ IL TG1'' - ALFREDO MEOCCI, EX DG RAI, PARLA DELL'ICTUS CHE L'HA COLPITO UN ANNO FA. ''ERO IN CENTRO A ROMA, NON CONNETTEVO, MI SIEDO E…'' - ''IL RE DEL POLLO ARENA FECE LA PACE TRA BERLUSCONI, DE BENEDETTI E CARACCIOLO. IN QUELL'OCCASIONE INCONTRAI SILVIO'' - ''EDWIGE FENECH VENNE DA ME A LAMENTARSI PERCHÉ SACCÀ NON LA FACEVA...''


     
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    Stefano Lorenzetto per il ''Corriere della Sera''

     

    Da quasi un anno Alfredo Meocci non torna a casa sua. L’ex direttore generale della Rai ha trascorso gli ultimi dieci mesi in tre diversi ospedali. Un ictus cerebrale lo ha colpito a Roma il 20 novembre 2018, vicino a Palazzo Chigi, mentre camminava per strada. Lo ritrovo su una sedia a rotelle in quella che dovrebbe essere l’ultima stazione della sua via crucis, Villa Melitta, a Bolzano, clinica specializzata nella riabilitazione, dov’è ricoverato da 60 giorni.

     

    Si mostra fiducioso: «Presto verrò dimesso. Vado in bagno da solo, mi corico senza bisogno di aiuto. Ieri ho scoperto questa qui», e afferra una stampella azzurra che gli consente di tirarsi su. «Il primario dice che in futuro forse potrò buttarla via». Giornalista da 40 anni, Meocci conserva la curiosità del cronista: «Lo vede quel paziente in fondo al corridoio? Un tempo suonava con I Camaleonti. Gli hanno amputato la gamba sinistra sopra il ginocchio. Diabete. Mi considero un miracolato: il coccolone ha leso solo gli arti nella parte destra del corpo, lasciandomi intatti il pensiero e la parola. Dopo accidenti simili, di solito ti si spegne il cervello, diventi un tronco».

    alfredo meocci alfredo meocci

     

    È questa lucidità che gli ha consentito, alla fine di agosto, di tenere l’omelia al posto del prete durante le esequie della madre Clotilde, 96 anni. L’ha salutata con i versi della poesia di Giuseppe Ungaretti, quella che recita: «E il cuore quando d’un ultimo battito / avrà fatto cadere il muro d’ombra / per condurmi, Madre, sino al Signore, / come una volta mi darai la mano». E che finisce così: «Ricorderai d’avermi atteso tanto, / e avrai negli occhi un rapido sospiro».

     

    Al funerale ha commosso tutti.

    «Sa qual è la grazia della mia condizione? Riscopri la religiosità perduta».

     

    È una grazia che nessuno invoca.

    «Ma esiste e ti fa vedere le cose in modo totalmente diverso da prima».

    «Quando il corpo si frusta, l’anima si aggiusta», dicevano i nostri nonni.

    «Non volevo essere indiscreto citando l’esempio dell’ex dei Camaleonti. È che lei non ha idea della solidarietà fra malati esistente qua dentro. Ognuno sprona l’altro: “Devi camminare, forza, non mollare”. C’è un’intesa, fra di noi, che io non ho mai trovato nella società di fuori. La competitività sparisce. Entri in un mondo nuovo. Un’apparentemente piccola felicità che invece è grande».

     

    Che cosa è accaduto il 20 novembre?

    «Ero appena uscito dalla Galleria Alberto Sordi. Mi sono sentito male, non connettevo. Ho appena fatto in tempo a sedermi su un paracarro. I passanti mi hanno visto catatonico. Transitava di lì un’ambulanza. Il personale mi ha chiesto: “Ricorda il suo nome?”. Alfredo Meocci, ho biascicato. Mi hanno portato all’ospedale San Camillo».

    Si è reso conto della situazione?

    «Non della gravità. Né tantomeno ho compreso che sarei potuto morire».

     

    Sua madre come ha reagito?

    «Io e mia moglie abbiamo preferito non dirle nulla. Mi hanno accompagnato da lei parecchi mesi dopo. Mi ha ripetuto la frase che mi ha sempre detto fin da quando ero bambino: “Ricòrdati che Dio c’è”. Ora più che mai so che è vero».

    ALFREDO MEOCCI ALFREDO MEOCCI

    Com’è il mondo osservato da una carrozzella?

    «Diverso. Non ti poni più il problema di chi guiderà Forza Italia o di chi dirigerà il Tg1».

     

    Due temi vicini alla sua sensibilità.

    «Ho il virus della politica nel sangue. Il nonno di mia madre, Giovanni Battista Angelini, sindaco di Castelnuovo del Garda, nel 1870 divenne deputato del Regno d’Italia. Emilio Fede mi assunse al Tg1 nel 1982. In redazione i miei compagni di banco erano Enrico Mentana e Marco Ravaglioli, genero di Giulio Andreotti. Nel 1994 fui eletto alla Camera con il Ccd».

    Mentana le affibbiò il soprannome Little Tony, con riferimento a Bisaglia.

    «Non all’epoca in cui lavoravamo insieme. Lo inventò dopo. Premesso che sono più alto di Little Tony, entrai perché ero nella lista dei disoccupati, avendo fatto il programmista-regista nella sede Rai di Venezia dal 1980».

     

    Nega di aver avuto uno sponsor?

    «Nego che fosse Bisaglia. Il quale, questo è vero, si trovò in piena sintonia con Mariano Rumor, il mio riferimento nella Dc, e Gianni Fontana, nel ritenere giusto che un volto veneto si affacciasse al Tg1. Credo che fui l’unico nella storia della Rai gradito sia ai dorotei sia alla sinistra democristiana. Così come Mentana stava simpatico al Psi, immagino».

    Alfredo Meocci Alfredo Meocci

    Intuisco che non siete grandi amici.

    «Ma no, ci mancherebbe altro! Stimo moltissimo Enrico, è un fuoriclasse. Però ero e sono molto più legato a Maurizio Beretta, che ha poi dimostrato tutto il suo valore ricoprendo incarichi di responsabilità in Fiat, Confindustria, Unicredit e Federazione gioco calcio».

     

    Il miglior direttore che ha avuto?

    «Nuccio Fava. Era imbattibile nel tenere insieme la professione, la conduzione in video e le istanze dei politici».

    Albino Longhi, che diresse per tre volte il Tg1, mi confessò: «Togliere un mezzobusto dall’edizione delle 20 equivale a ucciderlo».

    «Con me Albino fu adorabile. Mi promosse al coordinamento e per soprammercato mi diede da condurre le edizioni delle 16.30 e di mezzasera, le più esaltanti, perché presti il volto a un tg che ti sei fatto da solo. Ma non smaniavo per andare in video. Per essere inserito nella redazione interni, semmai».

     

    Dove si segue la politica. E invece?

    «Da neoassunto fui messo agli esteri».

    Ma lei non faceva il calciatore?

    «Sì, da giovane. Portiere. Nel 1970 entrai nella Primavera del Verona. Poi andai in prestito al Chievo, serie D, con allenatore Nicola Ciccolo, ex gialloblù che aveva giocato nell’Inter e nella Lazio».

    E che, capogruppo del Psdi al Comune di Verona, fu addirittura nominato nel consiglio dei Beni culturali dal ministro Vincenza Bono Parrino.

    «Un uomo dalle risorse infinite».

     

    Avrebbe mai detto che il Chievo sarebbe stato promosso in serie A?

    «Francamente no. Durante un allenamento mi fratturai il braccio destro. Fu la mia fortuna perché, uscito dalla squadra, mi misi a scrivere le cronache del Chievo perL’Arena. E così scoprii la vocazione giornalistica. Come vede, il male fisico dischiude sempre orizzonti che in precedenza non scorgevi».

    Alfredo Meocci Alfredo Meocci

    Dopo un ictus sorge un dilemma: avvisare gli amici o tacere per pudore?

    «È bastato dirlo a qualcuno. Non ho l’indole di chi scoccia il prossimo».

    Chi si è fatto vivo per primo?

    «Gigi Marzullo, che mesi dopo ha avuto la cattiva idea di farsi ricoverare in codice rosso per un’ernia inguinale. Grazie a Dio, s’è ripreso bene anche lui».

     

    Altri che l’hanno cercata?

    «Un po’ tutti, da Bruno Vespa alla mia amica Teresa De Santis, direttore di Rai 1, a Fabrizio Del Noce. L’ex sindaco di Verona, Flavio Tosi, è venuto a trovarmi in ospedale. Gianni Letta è stato carinissimo. Mi telefona in continuazione».

    Silvio Berlusconi?

    «No».

    Ma non fu lui a volerla come direttore generale della Rai?

    «Certo. Però immagino che abbia faccende ben più importanti da seguire».

     

    Pomicino Fiori Bertinotti e Meocci Pomicino Fiori Bertinotti e Meocci

    Come lo conobbe?

    «Me lo presentò il compianto Antonio Grigolini, proprietario del Pollo Arena, nonché consigliere del gruppo L’Espresso e azionista dell’editrice Athesis, che pubblica i quotidiani di Verona, Vicenza e Brescia. Una sera, nella sua tenuta agricola di Buttapietra, aveva convinto Carlo De Benedetti e Carlo Caracciolo a siglare la pace con il Cavaliere, ponendo fine alla guerra di Segrate per il controllo della Arnoldo Mondadori Editore».

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    Lei veniva dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, non poteva essere nominato al vertice della Rai.

    «Io ero un dipendente Rai che rientrava nella sua azienda. Il presidente dell’Agcom, Enzo Cheli, mi aveva rassicurato sul fatto che non ci fosse incompatibilità, trattandosi di due enti statali. E c’erano fior di pareri legali su questo. In ogni caso, sfido chiunque a dimostrare che non sia stata una direzione generale più che perfetta. Tant’è che durante la mia gestione Mediaset fu surclassata».

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    Irritò Berlusconi riportando Celentano in Rai con «Rockpolitik».

    «Ma davvero lei pensa che Celentano sia in grado di spostare masse di voti? Andiamo! Il Cavaliere non pose veti, mi disse solo: “Forse sarebbe meglio lasciar perdere”. Benché Del Noce si fosse autosospeso da direttore della rete per non avallare la scelta, il mancato rientro avrebbe comportato penali enormi. Al primo monologo del Molleggiato mi alzai in piedi per dirgli: “Stasera l’Italia è salita nella classifica della libertà. Hai attaccato Rai 1 e siamo su Rai 1”».

    La Corte dei conti le chiese di restituire 373.000 euro.

    «Versati di tasca mia. Certo, lo Stato che multa sé stesso fa un po’ ridere».

    Riceveva molte lettere di raccomandazioni quand’era direttore generale?

    «Sì, ma non feci assumere nessuno».

     

    BERLUSCONI E CARLO DE BENEDETTI BERLUSCONI E CARLO DE BENEDETTI

    La richiesta più bizzarra?

    «Edwige Fenech venne da me a lamentarsi perché Agostino Saccà, direttore della fiction, non la faceva lavorare. Aveva le lacrime agli occhi».

    Com’è che lei va d’accordo con tutti?

    «Ho un profondo rispetto per le persone. Il mio limite è che vado d’accordo solo con quelle intelligenti».

    Aveva messo in conto di finire un giorno in sedia a rotelle?

    «Mai. I “carrozzati” manco li vedevo. Ma non lo vivo come un trauma. Riscopro favole esistenziali. Il mio mito è C’era una volta in America. Ascolto ancora “Amapola”. Il sogno mi aiuta a vivere».

     

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