Marco Giusti per Dagospia
Seymour Cassel
seymour cassel
E chi se li è scordati più i baffoni biondi di Moskowitz in Minnie e Moskowitz di John Cassavetes. Lì Seymour Cassel, che se ne è andato a 86 anni in quel di Los Angeles con un bagaglio di oltre 200 film, interpretava un buffo parcheggiatore di auto che si innamorava della complessa Minnie di Gena Rowlands. Rispetto agli altri primi film di Cassavetes, come Shadows o Faces, dove Seymour Cassel, suo grande amico da sempre, venne addirittura candidato all’Oscar come non protagonista, Minnie e Moskowitz aveva qualcosa in più che ci colpì particolarmente.
Una dolcezza da commedia romantica un po’ hippy, due grandi personaggi su cui lavorare, e proprio il Moskowitz di Seymour Cassel, diretto dal suo amico Cassavetes, era una bella novità. Lo avevamo già visto in tanti piccoli o piccolissimi ruoli sia al cinema che in tv. Ma non ci eravamo mai accorti di quanto fosse bravo. Vederlo protagonista era una delle trovate del film. Perché, per i canoni di Hollywood, non aveva certo un volto da protagonista. Non era né un Warren Beatty, un Robert Redford.
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Aveva un buon volto per finire in un ruolo minore di film di gangster, e infatti quello fa in Contratto per uccidere o L’uomo dalla cravatta di cuoio di Don Siegel, o in una puntata di Ai confini della realtà. Vederlo protagonista, anche se di un film indipendente, solo distribuito dalla Universal, che pensava di fare gli stessi soldi di Easy Rider, fu una bella sorpresa.
E aprì a Seymour Cassel, attore di teatro con studi all’Actors, ma anima troppo libera per Hollywood, le porte del cinema maggiore. Non ebbe la fortuna di un Jack Nicholson o di un Robert De Niro, ma fece davvero una valanga di film. Con Cassavetes compare in ben sette film, mettendoci anche L’assassinio di un allibratore cinese, La sera della prima, Love Streams. I ruoli migliori glieli offrirono registi più simili a lui e al suo amico John Cassavetes.
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Lo troviamo così ne Gli ultimi fuochi di Elia Kazan, in Convoy di Sam Peckimpah, in Colors di Dennis Hopper con Sean Penn e Robert Duvall, in Dick Tracy di Warren Beatty. Si lega a Steve Buscemi dopo averlo avuto come partner nel curioso In the Soup di Alexandre Rockwell, per il quale venne premiato al Sundance, e Buscemi lo vorrà tra i protagonisti del suo film da regista, Mosche da bar.
E non manca mai nei primi film di Wes Anderson, da Rushmore a I Tenenbaum a Steve Zissou. Ma gira un po’ di tutto, forte della dichiarazione che per un film indipendente, se gli piace il copione e gli offrono il biglietto d’aereo, può lavorare anche gratis. E infatti lo troviamo ovunque. Perfino in Black Widow di Giada Colagrande a fianco di Willem Dafoe, in un paio di film con Maria Grazia Cucinotta.
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Dopo la morte di John Cassavetes, il suo faccione ben riconoscibile era la garanzia di ogni film indipendente. “Il film indipendente è un film che ha un pensiero dentro. Non c'è un pensiero nei film degli studios. È un pensiero collettivo. Quello che fai a Hollywood non è altro che un gioco per computer, dove potresti anche avere un piccolo telecomando che per far esplodere questo camion invece di quello, che almeno permetterebbe la partecipazione del pubblico. Con un film indipendente, semplicemente perché non hanno i soldi per fare un film ad alto budget, sono costretti a fare una storia che è importante per loro, che vorrebbero vedere in un film, una storia personale che le persone possono mettere in relazione, dove puoi vedere l'amore dei personaggi. Questo è vero per i film migliori che ho fatto, certamente per quelli di John Cassavetes”.
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