Marco Giusti per Dagospia
paolo taviani
Credo che la chiave per ricordare non solo Paolo Taviani, scomparso a 93 anni, quanto il legame profondo, umano e artistico, che lo univa al fratello Vittorio, scomparso nel 2018 a 89 anni, stia nel primo episodio di “Leonora, addio”, unico film che Paolo gira e firma da solo a due anni dalla morte del fratello e che a lui dedica.
Un film sulla ineluttabilità della morte, che col pretesto di seguire a Agrigento il complesso viaggio delle ceneri di Luigi Pirandello, rimaste ferme per dieci anni dietro un muro di mattoni a Roma, liberate a guerra e fascismo finiti, ci indirizza verso un profondo e commovente viaggio nel ’900 italiano della nostra letteratura e del nostro cinema neorealista (Rossellini, Vergano, Lizzani), con radici profonde nel secolo precedente (Verdi).
paolo e vittorio taviani
Non alla ricerca di una metafora che dia un senso alla nostra vita, ma magari solo di un chiodo, di un’urna che possa raccogliere per sempre le ceneri di un poeta e al tempo stesso aprire un percorso di ricordi e di memorie che sono la nostra storia. Complessa costruzione narrativa sulla elaborazione di un lutto profondo compiuta da un regista che per tutta la vita aveva diviso la scena col fratello maggiore in maniera così chiusa da diventare un solo artista, I Taviani.
Era impossibile non trovare nei loro film, anche nei meno riusciti, qualcosa di estremamente creativo o estremamente ingenuo o comunque eccessivo che era in grado di fartene ribaltare continuamente il giudizio. In un gioco continuo di sorprese, non sempre positive, ma sempre spiazzanti, inventive.
leonora addio di paolo taviani nella foto fabrizio ferracane crediti umberto montiroli
Un modello che parte da subito, dagli anni neorealistici di Un uomo da bruciare a quelli un po’ godardiani de I sovversivi, a quelli militanti di “San Michele aveva un gallo”, giù fino a “Il prato” e al ritorno alle origini con “Cesare deve morire”, girato in digitale e totalmente sorprendente, che riaprì con stupore il discorso critico sui loro ultimi film.
paolo e vittorio taviani
Anche se poi non ritrovammo sempre la stessa libertà nei due film successivi, "Meraviglioso Boccaccio”, e “Una questione privata”, firmato assieme, ma diretto sembra interamente da Paolo dopo l’incidente di Vittorio. In quel film, però, oltre al ritorno alla lotta partigiana, grande tema dei Taviani da sempre, c’è una scena clamorosa che mi colpì particolarmente e che nessun regista di oggi si permetterebbe di filmare.
E’ quella che vede una bambina, stesa in mezzo a un gruppo di contadini uccisi dai fascisti, che si alza, va a bere un bicchier d’acqua, e ritorna a stendersi come morta in mezzo al gruppo di finti cadaveri. A ricordarci come siamo tutti sospesi tra la morte e la vita e quanto il cinema sia sempre la rappresentazione continua della morte e della vita.
paolo taviani sul set di leonora addio crediti umberto montiroli
Se qualcosa abbiamo capito dalla visione delle opere dei Taviani, viste scrupolosamente in sala fin dagli inizi, impossibile specificare cosa abbia fatto Vittorio rispetto a Paolo, è questa capacità assoluta di sorprenderci, di ripartire magari da zero, di giocare col cinema un po’ rossellinianamente. Capendo che le regole, i modelli, vanno usati solo per poterli distruggere, e ricominciare. Più alla Rossellini che alla Godard.
Un loro film che amo e che rivedo integralmente ogni volta che passa, “Allonsanfàn”, con Marcello Mastroianni traditore della rivoluzione che cerca in tutti i modi di uscire dalla storia e anche dalle sue donne, ha proprio questa costruzione che ci manda da una parte e poi, continuamente, cambia percorso. Come se il tradimento, che è il tema del film, fosse anche un tradimento delle regole cinematografiche. Per uscire da qualsiasi regola, da qualsiasi gabbia.
paolo taviani foto di bacco
E anche se ho trovato difficile amare davvero i loro film storici più celebrati e celebrativi, diciamo “La notte di San Lorenzo”, ho amato poi “Kaos” per il grande recupero pirandelliano della storia, ma anche di Franco e Ciccio. Cosa che portò per la prima volta i due comici a Venezia alla prese con la critica di tutto il mondo. Una festa e un’apertura inaspettate che ci facevano capire la libertà del loro cinema.
E ho amato Il prato, ad esempio, film tormentato da un Nanni Moretti attore in continua crisi che venne alla fine sostituito da Saverio Marconi, perché è così fragile e così forte nel suo legame esibito con Rossellini.
I Taviani hanno anche girato, e non sempre assieme, anzi, spesso separati, centinaia di caroselli e di pubblicità. In realtà arrivano al cinema proprio dalla pubblicità, anche se hanno dovuta farla soprattutto agli inizi per sopravvivere. Con produttori come Augusto Ciuffini, Massimo Saraceni, ma anche molti altri negli anni. E lì hanno girato, curiosamente, di tutto, da balli gattopardeschi per gli spumanti Gancia, a scenette godardiane per la benzina BP, da Patty Pravo che canta al Piper per i gelati Algida a finti 007 per René Briand.
paolo taviani con la moglie liliana nerli
Si dividono con Luciano Emmer i caroselli della Dufour con Marisa Del Frate (“Voglio la caramella che mi piace tanto…”) e quelli del Sole Piatti con Paolo Villaggio cattivissimo. Girano la serie “Immagini che parlano” della Polaroid con la Sora Lella e il solo Vittorio dirige Memmo Carotenuto e Carletto Romano per l’Idrolitina. Tutto però, viene poi riusato nel cinema. Le atmosfere alla Senso per non so quale birra vengono riproposte per Luisa Sanfelice, il Lucio Dalla che si esibisce coi Flipper per i caroselli della camicia Dinamic diventa il protagonista de de I sovversivi.
luca marinelli una questione privata
Sempre generosi nel ricordare anche le cose meno clamorose, diciamo, proprio la massa di pubblicità dirette fin dagli anni ’60 rendeva più offuscati i loro ricordi. “Non mi ricordo se questo carosello l’ho fatto o l’ho visto”, mi diceva Vittorio. Ma ricordavano anche di aver scritto il soggetto per un paio di spaghetti western che non fecero mai. Inventandosi curiose situazioni che i produttori del tempo non gradirono. I cavalli che vanno indietro coprendo i loro passi. Chissà dove l’avevano letta…
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