Marco Giusti per Dagospia
jean jacques beineix
Anche se i critici più snobboni non lo hanno mai amato e perfino in Francia c’era chi arricciava il naso davanti ai suoi film, “La Francia è il peggior posto dove stare, per un regista francese”, sosteneva, la sua Betty Blue interpretata da una sconosciuta e favolosa Beatrice Dalle, accompagnata dalla languida e ipnotica musica di Gabriel Yared fu una grande invenzione di immaginario cinematografico.
Forse l’ultima grande storia di amour fou vista al cinema. Se ne va nella sua Parigi, a 75 anni, dopo lunga malattia, Jean-Jacques Beineix, autore di film di successo come “Diva” e, appunto, “Betty Blue”, che in Francia si chiamava “37°2 le matin”, ma anche di flop, come “Lo specchio dei desideri”/“La lune dans le canivau”, e di film sfortunati, come “I.P. 5 - L’isola dei pachidermi”, dove a lavorazione ancora non terminata se ne andò per un infarto il grande Yves Montand.
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Beinex faceva parte di un gruppo di registi non particolarmente amati dalla critica dei “Cahiers” o da Cannes, assieme a Jean-Jacques Annaud, Luc Besson, considerati maestri del “cinema del look”, un po’ pubblicitari, insomma. E non troppo intellettuali. Anche se i film di Beineix, quasi tutti noir, con situazioni estreme d’amore e di follia, ha indubbiamente una sua coerenza. Nato nel 1946 a Parigi, dopo gli studi di medicina, fa una lunga gavetta da assistente alla regia per tutti gli anni ’70.
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Inizia con Jean Becker su “Les Saintes Chéries”, ma lavora anche con Claude Berri, quello forse che gli ha insegnato di più nella doppia veste di regista e di produttore, con René Clement su “La corsa della lepre attraverso i campi”, dove conosce Robert Ryan, con Jerry Lewis, suo grande idolo, per il maledetto e mai uscito “The Day The Clown Cried”, infine con Claude Zidi per grandi successi come “L’ala o la coscia” e “L’animale” e con l’americano Willard Huyck per “Baci da Parigi”.
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Nel 1977 gira da regista il corto “Le chien de Monsieur Michel”, che vince un Cèsar, e nel 1981 può passare alla sua opera prima, “Diva”, tratto da un romanzo di Daniel Odier con Richard Bohringer, Wilhelmina Fernandez, Thuy An Lulu, tratto da un romanzo di Daniel Odier, che sarà una rivelazione per tutti. Anche se all’inizio fu un flop. “Alla critica non era piaciuto per niente”, ricordava “e l'hanno stroncato. In particolare i critici della Nouvelle Vague.
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Hanno detto che c'era troppo stile e poca sostanza, il che non è affatto vero, perché dice molte cose. Si parla di pirateria e riproduzione. L'intero film parla della duplicazione e di un mondo che non è più solo un mondo di realtà fisica, ma un mondo di vetrine, un mondo di pubblicità, un mondo di comunicazione”. Ma dopo un anno il film viene rilanciato in America.
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“La risposta è arrivata dal pubblico di Toronto: gli hanno riservato una standing ovation! Ero appena atterrato, totalmente in jet-lag, entro nel teatro e tutti si alzano in piedi e applaudono. Pensavo di essere in un sogno, o in un incubo”. Il film lo lancia quindi a livello internazionale. Al punto che il suo secondo film, “La lune dans le caniveau”/”Lo specchio desideri” , tratto da un romanzo di David Goodis, verrà girato con grandi mezzi a Cinecittà e presentato a Cannes. “Pensavo di fare qualcosa di grande”, dirà.
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“Ho girato su un grande palcoscenico di Cinecittà tra le scenografie di Sergio Leone, che stava girando C'era una volta in America, e Federico Fellini, che stava girando E la nave va. (..) L'ho girato nello studio più magico del mondo. E’ stato come un sogno meraviglioso, dove volavo sulle ali della vittoria. E poi, bang, bang, bang: vengo abbattuto. È stato spaventoso”. Il film, interpretato da un Gerard Depardieu che beveva davvero troppo, Nastassja Kinski, Victoria Abril, dal nostro Vittorio Mezzogiorno e Rosa Fumetto, non viene capito. La critica lo massacra e il pubblico gli volta le spalle. Quando anni dopo tenterà di rimontarlo in una nuova edizione scoprirà che tutto il materiale era stato buttato.
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Ma sarà un grande successo internazionale il suo terzo film, “Betty Bleu”/”37°2 le matin”, storia d’amor fou fra Jean-Hughues Anglade come Zorg e l’inedita Beatrice Dalle come Betty che si impone con una carica sexy raramente vista al cinema. “Questo film è arrivato come una favola, come una cometa dal cielo. Mi è stato inviato questo romanzo da Philippe Djian, che non era stato ancora pubblicato. Ho letto il libro e mi è piaciuto. Fin dall'inizio, ero innamorato dei personaggi e della storia. È stato il film più semplice che abbia mai fatto.
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Ciò che ha attratto il pubblico di tutto il mondo è stato il fatto che una storia d'amore deve essere grande e questa è stata una grande storia d'amore”. La storia d’amore tra Zorg e Betty, in realtà, prese così tanto i due protagonisti da uscire dalla finzione e da vivere loro stessi una storia d’amor fou. Beatrice Dalle, allora ventenne, che si era da poco sposata col pittore Jean-François Dalle, lo lascerà alla fine del film e lui si toglierà la vita. Con “Betty Blue”, visto da 3 milioni e mezzo di spettatori in Francia, Beineix arriva al successo.
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Il film ha un così grande culto in Francia che in tanti vanno ancora a vedere lo chalet sul mare di Gruissan, vicino a Narbonne, dove vivono i due protagonisti. E la versione uncut di tre ore montata dal regista per il blue ray esalta ancora di più la presenza di grande erotismo di Beatrice Dalle e la magia tra i due attori. I film successivi, però, non avranno lo stesso successo internazionale di “Betty Blue”. Né “Roselyne e i leoni” né “IP 5 – L’isola dei pachidermi” con Yves Montand nel suo ultimo lavoro, né i film che girerà negli anni ’90, “Otaku” e “Assigné a resident”. Il suo ultimo lungometraggio di fiction è “Mortal Transgert” con Jean-Hughues Anglade e Hélène de Fougerolles del 2001. Passerà al documentario, alla tv, scrivevà perfino un romanzo nel 2020, “Toboggan”. Con l’arrivo di Netflix, però, il film non in lingua inglese più visto sulla piattaforma in tutto il mondo sarà proprio “Betty Blue”.
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