Guido Olimpio per corriere.it
ABU MUHAMMAD AL-MASRI
Quando la sera del 7 agosto due killer uccidono un cittadino libanese e la figlia a Teheran le autorità affermano: la vittima era un professore di storia. No, — ipotizzano i media — era uomo di collegamento dell’Hezbollah.
Ma la verità sarebbe ancora un’altra. Se le fonti del New York Times sono giuste, a cadere sotto il fuoco è stato uno dei più alti dirigenti di al Qaeda, Abdullah Ahmed Abdullah. A farlo fuori il Mossad israeliano per conto degli Usa. Tesi subito respinta dall’Iran: è «una bugia, un’invenzione» della propaganda.
Torniamo a quella notte. Sono circa le 21: la coppia si sposta in auto nella capitale iraniana ed è affiancata da una moto, con a bordo due uomini. Uno di loro estrae una pistola con il silenziatore, spara 5 volte e quattro proiettili raggiungono i bersagli. I sicari fuggono, la polizia attiva un sistema di sicurezza mentre le autorità provano a coprire identificando i bersagli come Habib Daoud, esperto di storia, e la figlia Myriam.
Dal Libano girano informazioni sulla sua appartenenza al partito di Dio, anche se in realtà nessuno conosce quel professore. L’attenzione sfuma in un periodo tumultuoso, con una serie di esplosioni, incidenti e sabotaggi a siti strategici. E in effetti la ricostruzione del quotidiano spinge l’agguato al presunto libanese nella lista di attacchi.
ABU MUHAMMAD AL-MASRI
Abdullah, noto come Abu Mohammed al Masri, 58 anni, egiziano, è stato ai vertici del qaedismo. Anzi – secondo le accuse – ha organizzato uno dei primi grandi attentati, quello dell’estate del 1998 in Africa, con due azioni simultanee in Kenya e Tanzania contro le ambasciate statunitensi. Occhio alla data: era il 7 agosto. La sua eliminazione è avvenuta nell’anniversario del massacro, proprio il 7. Un favore dei servizi israeliani all’alleato. Una finestra operativa resa possibile dalla presenza di un network nelle città iraniane.
In passato sempre gli israeliani hanno colpito scienziati e tecnici nucleari, spesso usando agenti in moto. E si è anche ipotizzato che si siano serviti di elementi locali, forse membri dell’opposizione. In questo caso avrebbero offerto il lungo braccio contro un obiettivo di alto valore, con risvolti personali: la figlia di Abdullah, Myriam, è la vedova di Hamza bin Laden, liquidato da un drone.
Qualcuno potrebbe sorprendersi per la presenza di un qaedista nella terra degli ayatollah. Non sono forse nemici? L’ostilità in alcuni casi è messa da parte per ragioni di pragmatismo. Dopo l’intervento americano in Afghanistan una folta colonia di seguaci di Osama, compresi familiari stretti del capo, si è trasferita in Iran. I pasdaran li hanno messi in residenze sorvegliate con un doppio fine: avere delle pedine in mano (ci sono stati degli scambi), tenere sotto pressione la fazione.
ABU MUHAMMAD AL-MASRI
Abdullah avrebbe seguito quella traiettoria ottenendo in seguito di potersi muovere. Una situazione goduta da un altro luogotenente, Seif al Adel, sospettato di aver diretto in remoto alcune stragi. Tra il 2011 e il 2015 i terroristi sono persone libere o quasi, a patto che non creino problemi all’interno.
Altri vengono lasciati partire per la Siria dove vanno a ingrossare la componente più radicale della ribellione. È il caso di Abu al Khayr al Masri. Egiziano, sposa un’altra figlia di Abdullah, e incontra la morte nel 2017. È di nuovo un drone americano a chiudere il cerchio. Stesso epilogo per Khalid al Aruri. Origine palestinese, dopo un periodo in Iran riappare sul fronte siriano e fa parte del gruppuscolo Hurras al Din: è dilaniato da un missile a lame rotanti nella regione di Idlib, nel giugno di quest’anno.
osama bin laden
Non è un momento facile per il movimento fondato da bin Laden. Venerdì l’esperto Hassan Hassan ha rilanciato la notizia del possibile decesso per malattia di Ayman al Zawahiri, l’attuale numero uno. Decesso avvenuto nel suo rifugio, sconosciuto. Un’informazione difficile da verificare arrivata da ambienti jihadisti siriani, quelli di Hurras al Din. Il medico egiziano, 69 anni, alla guida della fazione, è stato segnalato in città pachistane, nell’area tribale e in Afghanistan, sotto la protezione dei talebani. Su di lui una taglia di 25 milioni di dollari. Meno appariscente rispetto al predecessore, ha cercato di portare avanti la linea stretto tra la sfida concorrente dello Stato Islamico e la caccia degli Stati Uniti. Numerosi collaboratori, come Abdullah, sono stati spazzati via da omicidi mirati che hanno lasciato vuoti sensibili ma non hanno fermato l’idea.