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    “CHI ASSUMEVA EROINA O COCAINA SI TATUAVA COLTELLI, FUCILI, PISTOLE. CHI FUMAVA LA MARIJUANA SCEGLIEVA UCCELLINI E MADONNE” - IL NUOVO LIBRO DEL CRIMINOLOGO MASTRONARDI CHE RACCOGLIE I TATUAGGI DI 80 DETENUTI RECLUSI A REGINA COELI E NELLA SEZIONE FEMMINILE DI REBIBBIA – “IL SERPENTE SIMBOLEGGIA L'ODIO O LA VENDETTA. LE CROCI, LE MADONNE, I VOLTI DI CRISTO SERVONO A CONFORTARE E UNA LACRIMA VICINO A UN OCCHIO VUOL DIRE CHE SI È COMMESSO UN OMICIDIO” – “E I TATUATI ALLA FEDEZ? NON LO CONOSCO, MA DI SICURO…”


     
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    Fabrizio Caccia per il “Corriere della Sera - Edizione Roma”

    vincenzo mastronardi vincenzo mastronardi

     

    Quante ne ha viste, nella sua carriera, il criminologo Vincenzo Mastronardi, «una volta - racconta - andai persino a fare un corso agli esorcisti». Una vita, la sua, passata a studiare il male, spesso barcamenandosi tra grandi demoni e poveri diavoli. L'ultimo degli oltre trenta libri che ha scritto s'intitola I segreti dei tatuaggi criminali ed è il risultato di una ricerca partita nel 2013 quando era direttore del Master in Scienze Criminologiche all'università La Sapienza. 

     

    Una ricerca sui tatuaggi di 80 detenuti, uomini e donne, reclusi a Regina Coeli e nella sezione femminile di Rebibbia, compiuta insieme a Giovanni Passaro, un ispettore di polizia penitenziaria con oltre 20 anni di duro servizio nelle carceri.

     

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     «Era un mio vecchio pallino - dice Mastronardi - Già nel '74, infatti, da universitario mi avventurai in una ricerca sui tatuaggi dei tossicodipendenti e notai subito la differenza a seconda che si facessero di droghe pesanti o leggere. Chi assumeva eroina o cocaina si tatuava addosso perlopiù coltelli, fucili, pistole. Chi fumava la marijuana, invece, sceglieva simboli eterei: uccellini, madonne».

     

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     E oggi? «Oggi assistiamo alla sindrome dell'uomo illustrato - dice Mastronardi - In cella c'era uno tutto tatuato: un serpentello sul pene, una lettera alla madre sulla spalla sinistra, il volto della fidanzata su quella destra. In pratica, una psicobiografia incisa sulla pelle. Perché il tatuaggio è un mezzo di affermazione personologica e nel detenuto avvia un meccanismo di fuga intrapsichica, un'evasione all'interno di sé, per uscire dal rischio dell'autodisistima. È come se grazie al tatuaggio il detenuto dicesse: io non sono il numero della mia cella, io sono la tigre, il serpente che ho su di me. Non sono un corpo ma un uomo con la sua storia». 

    FEDEZ CON IL TATUAGGIO DI GESU CHE DICE OH MY GOD FEDEZ CON IL TATUAGGIO DI GESU CHE DICE OH MY GOD

     

    Ma la «sindrome dell'uomo illustrato», chiediamo, si può ravvisare anche in chi non è recluso? «I tatuati alla Fedez, per capirci? - risponde il prof - Non conosco Fedez, di sicuro molti di loro hanno bisogno di fare di più per sentirsi normali». 

     

    Quelle di 50 anni fa, inoltre, erano scarificazioni piuttosto incerte, ottenute «col vecchio pennino a campanile», ricorda il criminologo. «Oggi invece - interviene Giovanni Passaro - i detenuti smontano il lettore cd mp3 con cui in cella ascoltano le canzoni. Il motorino del lettore, alimentato con le batterie del telecomando tv, lo collegano poi col fil di ferro al tubicino trasparente di una penna Bic, riempito con l'inchiostro liquido dei pennarelli colorati che comprano allo spaccio. Infine, applicano al tubicino un ago preso dalle siringhe dell'infermeria e avviato il motorino comincia il lavoro. Poiché i tatuaggi in carcere sono vietati, di solito c'è un detenuto a fare da "palo" fuori (di giorno le celle restano aperte) e si alza al massimo il volume della tv per coprire il ronzìo». 

    macchinetta per tatuare costruita in carcere macchinetta per tatuare costruita in carcere

     

    I tatuaggi in carcere sono vietati perché ci si può infettare, contrarre l'HIV o l'epatite. Ma come si vede, chi lo vuole lo ottiene, magari scambiandolo con due pacchetti di sigarette. La ricerca è stata svolta su un campione di 50 uomini e 30 donne, in prevalenza italiani e dell'est Europa. 

     

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    In copertina, campeggia un'enorme farfalla tatuata sul collo taurino di un detenuto: «Un segno di libertà - dice Passaro - Così come il serpente simboleggia l'odio o la vendetta. Le croci, le madonne, i volti di Cristo servono a confortare, ma c'è anche chi si sente Dio! Una lacrima vicino a un occhio vuol dire che si è commesso un omicidio, due lacrime due omicidi». 

     

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    I detenuti di maggior spessore criminale, invece, i tatuaggi li evitano: con le città piene di telecamere, l'icona di un coltello può farti arrestare. 

     

    «Ma pure le donne - conclude Passaro - portano tatuaggi violenti: una quarantenne italiana, dentro per traffico di droga, sfoggiava all'altezza della coscia il disegno di un reggicalze con la pistola. È tipico poi tra le detenute immortalarsi sui polsi o sulle caviglie i nomi dei genitori, dei figli, del marito. Durante la pandemia, quando i colloqui erano sospesi, i tatuaggi mostrati durante le videochiamate volevano comunicare proprio questo: l'indistruttibilità del loro legame».

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