Maria Teresa Meli per il "Corriere della Sera"
dalema berlusconiPresidente D'Alema, è la fine di un'era. Lei si è scontrato e incontrato piu volte con Berlusconi. E adesso?
«Sì io mi sono confrontato a lungo con Berlusconi con alterni risultati. Sono stato tra i protagonisti del suo rovesciamento nel ‘94, e uno degli artefici delle vittorie elettorali del ‘96 e del 2006, da cui bisogna pur riconoscere che lui ha saputo sempre risollevarsi con successo. Non credo che scompaia dalla vita politica italiana per la sua decadenza: penso che sia un giudizio politico superficiale».
Berlusconi dice che quel giorno è stato un lutto per la democrazia.
«È un'espressione priva di senso ma non è stato neppure un giorno per brindare. Io personalmente non ho brindato perché l'applicazione della legge è sempre un fatto che va vissuto con serietà e con rispetto verso le persone. Si festeggiano le vittorie elettorali non l'applicazione delle leggi, che dovrebbe essere ovvia.
Del resto io avevo dichiarato già mesi fa che Berlusconi avrebbe dovuto dimettersi prima, senza arrampicarsi sugli specchi. Detto questo, non credo che la sua esclusione dal Parlamento significhi la sua esclusione dalla vita politica, anzi penso che in questo momento vi sia persino un moto emotivo di solidarietà nei suoi confronti: i sondaggi lo danno in crescita di popolarità. Certo bisognerà vedere tutto questo quanto regge».
Dunque?
«Berlusconi è un leader in crisi non perché è stato escluso dal Parlamento ma perché non è più in grado di costruire attorno a sé il centrodestra, anzi è un fattore di divisione. La sua decadenza è giusta perché la legge è uguale per tutti, ma lui continuerà a giocare un ruolo politico, anche se in questo momento appare più un peso che una risorsa per il suo schieramento. Però non si vede all'orizzonte un altro leader in grado di sostituirlo. Come si dice, chiodo scaccia chiodo? In questo caso non c'è».
E Alfano?
«Alfano è il leader di una forza minoritaria del centrodestra che è guardata con profonda avversione da tutti quelli che votano Berlusconi. Sembra difficile immaginarlo ora come il federatore, ma ha avuto il coraggio di dire finalmente che l'interesse del Paese è più importante di quello di Berlusconi».
È d'accordo con l'iniziativa di Napolitano?
«Certo: ci vuole un passaggio in Parlamento perché il quadro politico è cambiato».
Tornando a Berlusconi. Se andasse in prigione le dispiacerebbe umanamente?
«Io sono garantista e mi dispiace che le persone finiscano in carcere, spesso senza aver subito nessuna condanna. Il fatto che in Italia quasi metà delle persone in carcere non sia mai stata giudicata è una condizione indegna di un Paese civile. Comunque in galera generalmente ci vanno i poveri, non i ricchi, quindi non credo che Berlusconi ci andrà».
È vero che nell'89 Berlusconi le offrì di lavorare per le sue tv?
«Lo incontrai per la prima volta più tardi, quando ero capogruppo della Camera. Mi disse che ero molto bravo a spiegare la politica anche alle persone semplici, che non parlano in politichese e che gli sarebbe piaciuto se io avessi avuto una trasmissione sulle sue reti. Gli risposi che facevo un altro lavoro. Lui replicò: "Ma anche Ferrara, che è europarlamentare, fa un programma". Del resto Berlusconi è un tipo seduttivo, cerca sempre di attrarre il suo interlocutore».
Ma come mai vi incontraste?
«C'era in Parlamento un provvedimento al quale erano interessati e contro il quale noi combattevamo, ma non ricordo quale fosse. Me lo presentò Gianni Letta, che avevo conosciuto come direttore del Tempo. Fu un confronto garbato ma noi continuammo a opporci a quel provvedimento. Ricordo che Berlusconi cercava di essere molto affabile».
Lei non lo è sempre stato con lui.
«La lotta politica non è una cena di gala. Anche Berlusconi non me ne ha risparmiata una. Nel 2001 scese su Gallipoli con l'elicottero e disse agli elettori: "Cacciatelo via e mandatelo a lavorare"».
Era l'ultimo voto con il Mattarellum e lei aveva rifiutato il paracadute della quota proporzionale.
«Appunto non mi scandalizza: la lotta è lotta».
Però con Berlusconi ha fatto la Bicamerale, cioè l'inciucio.
«Nessun inciucio, tanto è vero che Berlusconi alla fine ha votato contro e ha fatto fallire la riforma. Aggiungo come è noto a chiunque abbia soltanto sfogliato gli atti parlamentari, che sono stato il presidente del Consiglio che ha cercato con maggior determinazione di fare una legge efficace sul conflitto di interessi. E io ho fatto la norma sulla par condicio in campagna elettorale per porre un argine allo strapotere televisivo di Berlusconi. Tutto questo lui lo sa e infatti alle ultime elezioni per il Quirinale mi chiamò per dirmi: "Non potremo mai votare per te perché sei il nostro avversario più irreducibile"».
A sinistra la pensano diversamente.
«Alcuni nella sinistra hanno diffuso le calunnie sugli inciuci e sugli accordi di potere con Berlusconi. Forse perché essendo una persona non facile da affrontare vis à vis alcuni hanno pensato di pugnalarmi alla schiena usando bugie. Da questo punto di vista riconosco a Renzi il fatto che lui non ha mai cercato di colpirmi a tradimento. Mi ha affrontato a viso aperto, e questo gli fa onore».
Cuperlo dice che Renzi è una versione di sinistra del berlusconismo.
«Non è un'accusa priva di fondamento, ma non è un'accusa morale, bensì politica. Renzi ha una concezione della leadership plebiscitaria non lontana da quella di Berlusconi. Ma il Pd è una cosa diversa: non credo che nasceranno i circoli "Meno male che Matteo c'è" ...».
Tornando al Cavaliere che cosa la colpì di più di lui quando lo conobbe meglio?
«La sua totale inaffidabilità. Quando si conclusero i lavori della Bicamerale Berlusconi fece un discorso commovente. Disse: è stato bello esserci. Dopo un mese buttò tutto all'aria. Il problema è che ogni sua parola, ogni suo gesto, sono dominati da un calcolo d'interesse».
Che consiglio darebbe a Berlusconi adesso?
«Prima di tutto di prenderla con filosofia. Pensi che l'altro giorno una signora mi ha fermato e mi ha chiamato "onorevole". Io le ho risposto: "Veramente non sono più alla Camera". E lei, entusiasta, mi ha urlato "Bravo!". Questo è un segnale inquietante per le istituzioni ma vuol dire anche che si vive bene pure fuori dal Parlamento. Quello che gli consiglio per il bene del Paese è di smettere di esasperare i conflitti con il suo risentimento personale. Si ricordi di essere stato un presidente del Consiglio, non faccia prevalere i rancori e le ragioni personali».