Andrea Nicastro per il "Corriere della Sera"
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«Un giorno difficile» dice il presidente Zelensky nel video per l'uscita dei suoi soldati dalla trappola di Mariupol.
Eppure, è il giorno in cui esseri stremati, amputati, affamati lasciano i bunker e tornano umani, riconquistano la speranza di un destino diverso.
Certo, dal punto di vista militare è «un giorno difficile» perché Mariupol cade. Il corridoio tra Russa e Crimea è completo e permette a Mosca di mantenere il suo status di superpotenza. Su quella lingua di terra, potranno viaggiare testate nucleari fino al porto di Sebastopoli e finire nei sottomarini che garantiscono la reazione atomica contro qualunque aggressore.
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Militarmente, Mariupol è una preda indispensabile per le ambizioni russe, ma allo stesso tempo un'amputazione dolorosa per l'Ucraina. Inaccettabile, nelle dichiarazioni pre-trattativa.
Un colpo per il morale Per il presidente Zelensky il giorno è «difficile» perché il suo ordine ai resistenti di Mariupol di cessare i combattimenti è anche un colpo alla leggenda del patriottismo ucraino. Gli eroi dell'Azovstal sono serviti non solo ad impegnare truppe russe o a dare tempo alle armi occidentali di arrivare, ma anche a tenere alto il morale del resto dell'esercito. Per due mesi e mezzo il Battaglione Azov e i fanti di marina hanno combattuto mettendosi in trappola da soli.
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Se resistevano gli eroi di Mariupol, circondati, senz' acqua, viveri, elettricità, sotto il martellamento quotidiano di 120 raid aerei, un migliaio di granate da mortaio e proiettili d'artiglieria, qualsiasi altra città ucraina aveva il dovere di non cedere. I soldati dell'Azovstal hanno dato l'esempio, l'intero Paese li ha seguiti. La tenacia delle forze ucraine è nata forse tanto a Mariupol quanto nei videomessaggi del presidente che non fuggiva quando persino l'intelligence americana glielo suggeriva.
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Ma il «giorno difficile» potrebbe diventare un momento di svolta positivo in tanti dei dossier aperti. Se anche gli ultimi militari uscissero dalla città-porto, Zelensky non avrebbe più concorrenti nell'incarnazione del mito di resistenza nazionale. Il comandante del Battaglione Azov, lo statuario Denis Prokopenko, era l'unico a competere in popolarità nei suoi videomessaggi con quelli del presidente. Grazie al sistema di trasmissione satellitare di Elon Musk, il Maggiore Prokopenko si mostrava con le stigma del martire e ispirava obbedienza. In un ambiente post-apocalittico, velatamente sfidò la stessa autorità presidenziale. «Non posso credere che in tutta l'Ucraina non si trovino volontari e mezzi per rompere l'assedio», arrivò a dire il comandante del Battaglione Azov.
«Lasciatemi insistere - dice ora Zelensky - l'Ucraina ha bisogno dei suoi eroi vivi».
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Per questo «un'operazione militare per salvare i difensori di Mariupol era stata iniziata dalle nostre forze armate e dai servizi segreti», ma qualcosa, evidentemente, non ha permesso di completarla. Ed è rimasta solo la resa.
La leggenda dell'assedio Le voci di blitz in elicottero, di barchini a zigzag tra le mine del Mar d'Azov fanno parte della leggenda di questo assedio e del prestigio del presidente come comandante in capo. L'«evacuazione», come gli ucraini preferiscono chiamare la resa, invece, è il momento in cui Prokopenko fa il Garibaldi. Smagrito, sporco, l'eroico combattente pronuncia il suo «obbedisco» alla sconfitta «per salvare vite».
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Per il momento il protagonismo bellicoso del Battaglione Azov si azzera e lascia l'intera scena a Zelensky. «Il lavoro per riportare i nostri ragazzi a casa continua. Richiede tempo e discrezione». Abbiate fiducia, seguitemi dice il comandante in capo rivestendo i panni del politico. Il messaggio di Zelensky può anche essere interpretato come un richiamo al fatto che coraggio e virtù marziali non bastano, neppure in un assedio. Che contano anche la diplomazia e la politica. Se è vero per gli eroi dell'Azovstal, potrebbe diventarlo anche per il resto dell'Ucraina.
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Con Mosca sazia col boccone di Mariupol, il tavolo della pace è più vicino. Zelensky tratta con gli invasori per salvare i «suoi ragazzi». Pensando al film Il grande dittatore , nel video inviato al Festival di Cannes, Zelensky dice che «serve un nuovo Chaplin» per svelare l'imbroglio del potere. Ciò che è stato «preso al popolo sarà restituito al popolo». Magari non subito però e, nel frattempo, è bene salvare vite umane.
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