Tommaso Labate per il Corriere della Sera
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Comunque vada, Giorgia Meloni si prenderà tre giorni. «Da lunedì mattina - ha confidato agli amici più stretti - per tre giorni devo disintossicarmi. Zero politica, zero contatti con persone che parlano di politica. Ho bisogno di stare con mia figlia», ripete come un mantra dall'inizio dell'ultimo conto alla rovescia.
Già da prima che iniziasse la settimana che può finire con un cambio radicale della sua esistenza, la leader di Fratelli d'Italia aveva raccontato anche di fronte alle telecamere della sua voglia di «tornare in palestra», di «andare dal parrucchiere», di ricalibrare mente e corpo rispetto a quello che può succedere «dopo». Riannodare i fili del «prima» per poter essere pronta a quello che succederà, insomma.
GIORGIA MELONI PALERMO
È l'ultimo miglio della lepre. L'ultimo giro del pilota in testa alla gara di Formula 1, con la bandiera a scacchi che è più vicina ma sembra sempre più lontana; l'ultimo chilometro del corridore in fuga nella tappa alpina o dolomitica del Giro d'Italia, tanto per usare una metafora cara a Enrico Letta. Il momento più ansiogeno di chi - a ragione o a torto - viene considerato il vincitore annunciato; che coincide col momento in cui, in fondo, avendo già vinto, puoi solo perdere. Guido Crosetto, l'imprenditore e amico, l'uomo con cui ha fondato quel partitino diventato un partitone, portato dal 3 a chissà quanto percento, ha trovato le parole per infondere tranquillità a tutta la ciurma di dirigenti di Fratelli d'Italia. Non c'è riunione o telefonata in cui non dica, «ragazzi, quello che è fatto è fatto e credetemi, possiamo solo essere soddisfatti.
SALVINI - MELONI - BERLUSCONI BY GIANNELLI
Se guardiamo indietro alle ultime settimane, non c'è storia: Giorgia ha fatto la campagna elettorale più bella. E la prova sta nel fatto che tutti gli altri leader, dal primo all'ultimo, l'hanno inseguita su ogni terreno. Nonostante gli attacchi ricevuti, da dentro e da fuori l'Italia, è riuscita a spiegare la sua idea di Paese. Il resto, vedrete, verrà da sé».
I sondaggi compulsati ogni ora, perché oltre ai propri ci sono sempre quelli commissionati dagli altri, non aiutano a stemperare la tensione.
«Se finissimo a essere il primo partito», ragiona ad alta voce un dirigente di primo piano di FdI, «avremmo fatto una scalata leggendaria. Poi però ti fermi un attimo a pensare e dici a te stesso: e se noi raggiungessimo una cifra alta ma comunque più bassa rispetto a quello che tutti si aspettano, le cose rimarrebbero invariate?».
E qui si passa alle forbici nei sondaggi, che sembrano ristrette ma possono essere larghissime. Alle ultime elezioni, dentro Forza Italia si ragionava alla vigilia dell'ipotesi di un accordo post elettorale di larghe intese col Pd. «E poi - prosegue la fonte - è bastato che Salvini prendesse qualcosa in più di Berlusconi, che i Cinque Stelle rubassero un'altra fetta di elettori a Renzi e puf è arrivato il governo gialloverde e addio sogni di gloria». Tra i sostenitori di Giorgia Meloni c'è qualche veterano che ha fatto in tempo a vedere da vicino l'ultimo miglio della campagna elettorale del 2001, quella del 61 a 0 in Sicilia.
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Un risultato all'apparenza già scritto; eppure «se avesse avuto altre due settimane di tempo», confessò Berlusconi qualche mese dopo il voto, «il centrosinistra di Rutelli ci avrebbe sorpassato». Lo stesso Berlusconi, nel 2008, all'alba di un'altra vittoria annunciata, si trovò a urne chiuse a fronteggiare una nutrita pattuglia di forzisti che si era presentata nella tarda mattinata di lunedì a Palazzo Grazioli (si votava per due giorni) a dirgli di abbassare i toni «perché gli ultimi dati che arrivano dimostrano che non avremo la maggioranza al Senato». «Non vi preoccupate», rispose il Cavaliere. «Vinceremo bene!». E così fu.
giorgia meloni salvini meme
Andò molto peggio a Bersani nel 2013. Convinto che il margine di vantaggio fosse talmente ampio e richiedesse giusto un po' di prudenza, di modo da non perderlo, l'allora leader del Pd chiuse la campagna elettorale nell'angusto spazio dell'Ambra Jovinelli mentre a qualche centinaio di metri i Cinque Stelle sigillavano la rimonta a piazza San Giovanni. Tredici anni prima, alle Regionali in cui aveva messo in palio la poltrona da presidente del Consiglio, Massimo D'Alema si sentì dire da un collaboratore che «il nostro vero problema sarà evitare di non vincere troppo». E perse. Nell'ultimo miglio, che spesso per la lepre è gioia sfrenata. Ma qualche volta no.
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