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    IL RAZZISMO DÀ ALLA TESLA - ANCHE NELL'AZIENDA AMERICANA PRODUTTIRCE DI AUTO ELETTRICHE SI MOLTIPLICANO GLI EPISODI DI DISCRIMINAZIONE: KAYLEN BARKER, 25ENNE AFROAMERICANA OMOSESSUALE, È STATA PRESA DI MIRA DAI COLLEGHI CON INSULTI, MINACCE E UMILIAZIONI SENZA CHE I CAPI INTERVENISSERO - NELLA LEGA DI FOOTBALL IL COACH BRIAN FLORES DICE DI ESSERE STATO SCARTATO DAI NEW YORK GIANTS PER IL COLORE DELLA SUA PELLE: "LA NFL È COME UNA PIANTAGIONE DI SCHIAVI"


     
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    Alberto Simoni per "La Stampa"

     

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    Kaylen Barker ha 25 anni ed è una afroamericana omosessuale. Fino al 29 ottobre aveva un contratto con Tesla e lavorava nell'impianto di Fremont in California. Ma dopo essersi rifiutata di firmare un documento in cui doveva ammettere di aver compiuto un atto di insubordinazione, è stata licenziata.

     

    L'atto di insubordinazione altro non era che aver denunciato alla dirigenza della fabbrica i continui insulti, violenze, vessazioni per il suo orientamento sessuale e il colore della pelle che subiva da due operai bianchi.

     

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    Un giorno uno di questi le si era avvicinato brandendo un attrezzo incandescente e l'aveva minacciata sciorinando l'intero campionario di insulti razzisti e sessisti. Lei si era lamentata con l'ufficio del personale e l'uomo era stato licenziato.

     

    Ma due settimane dopo era riapparso in fabbrica. «Non capivo come mai fosse di nuovo al suo posto. È stato come essere torturata di nuovo e ritornare di colpo a prima dell'epoca dei diritti civili», ha raccontato Barker che per questo ha fatto causa a Tesla accusandola di non aver vigilato consentendo che gli atteggiamenti omofobi e razzisti continuassero.

     

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    Il suo caso non è isolato. Proprio mentre Barker andava in tribunale nella Alameda County, una giuria condannava Tesla al pagamento di 137 milioni di dollari a Owen Diaz, dipendente della società fra il 2015 e il 2016 che era stato preso di mira dai colleghi, invitato «a tornare in Africa», chiamato "negro" (la N-world impronunciabile e culmine delle offese), vittima di gesti razzisti con scritte del KKK, svastiche e messaggi suprematisti.

     

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    «Pensavo - ha raccontato - che lavorare per Tesla significasse entrare in un modo moderno, invece, ho trovato scene degne dell'era di Jim Crow». La cifra indicata dalla giuria rappresenta la più alta mai stanziata in un caso di discriminazione razziale.

     

    Valerie Capers Workman, numero due del personale della società, ha ammesso che le testimonianze hanno confermato gli insulti, ma che queste parole «venivano espresse in modo amichevole».

     

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    La Tesla del 2016, quella in cui era maturata la vicenda di Owen Diaz, non è la stessa di oggi, ha commentato Workman ignorando evidentemente che la vicenda di Kaylen è del 2021.

     

    La discriminazione contro i neri continua a essere una ferita nella società americana, il mese di febbraio è dedicata alla memoria della comunità (Black History Month). Lunedì ben 14 college afroamericani (Hbcu) in tutta la nazione, hanno denunciato di aver ricevuto minacce di attacchi. Alcuni sono stati costretti a chiudere, altri hanno posticipato le lezioni.

     

    caso di razzismo in tesla caso di razzismo in tesla

    Il rettore della Howard University di Washington ha detto che le tensioni nel Black History Month sono frequenti, ma il livello delle minacce raggiunto quest' anno ha battuto ogni record. Dal 4 gennaio ben tre volte il college è finito in "lockdown" per il rischio di un attacco.

     

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    Una ricerca del Pew Research della scorsa primavera ha evidenziato che secondo l'80% degli statunitensi sono ancora vive forme di razzismo contro i neri. Gli afroamericani ritengono che la strada per garantire alla comunità nera i medesimi diritti degli altri è in salita: il 58% ritiene che le maggior istituzioni e molte leggi debbano essere totalmente riscritte.

     

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    Forse anche le norme della Nfl, la Lega professionista di football dove a fronte del 70% di giocatori di colore, la prossima stagione vedrà solo un allenatore nero in panchina. La discriminazione la sta vivendo sulla sua pelle - e l'ha denunciata - Brian Flores, ex capo tecnico dei Miami Dolphins che è stato scartato per l'incarico dai New York Giants.

     

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    Il tecnico afroamericano ha avviato una class action contro l'intera Lega e il team di New York: «Mi hanno fatto il colloquio di lavoro per rispettare la cosiddetta Rooney Rule», che obbliga le franchigie della Nfl a considerare anche allenatori che fanno parte delle minoranze. In realtà il posto in panchina era già stato affidato a un bianco, Brian Daboll.

     

    «La Nfl è segregata per razza e gestita come una piantagione di schiavi», ha accusato Flores che ieri alla Cnn ha confermato che non ritirerà la denuncia e che «la mia battaglia va ben oltre il football».

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