Alberto Cantu per www.ultimouomo.it
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«Giungemmo. È il Fine» sospirava l’Alessandro Magno di Pascoli mentre contemplava malinconicamente la fine delle sua epopea. Arrivato all’estremo confine orientale del mondo, il macedone si trovava costretto ad ammettere che non c’erano altre terre da conquistare, altri popoli da soggiogare, altre imprese da aggiungere alla sua già sterminata leggenda.
Nel pomeriggio italiano di martedì anche Tom Brady ha annunciato di essere giunto al suo “Fine”. Possiamo solo immaginare il groviglio di emozioni che lo hanno assalito nel momento in cui ha deciso di comunicare al mondo che la sua carriera era giunta al termine.
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Indiscutibilmente il più grande quarterback della storia del gioco, uno dei pochi ad aver travalicato le barriere autarchiche del football americano per diventare un’icona globale. Tom Brady è associato a un’immagine di vittoria e grandezza che lo pone al pari dei GOAT degli altri sport.
In 22 anni spesi principalmente ai New England Patriots Brady ha fatto razzia di trofei personali e di squadra – 7 Super Bowl e 8 MVP tra regular season e finali, 15 selezioni al Pro Bowl – in uno sport normalmente refrattario al concetto di longevità.
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Quel che è ancora più assurdo è che una carriera così esageratamente memorabile avrebbe potuto ancora proseguire ad alti livelli.
Il “Fine” di Tom Brady non sono state le acque dell’Oceano e nemmeno l’ultimo avversario rimastogli da affrontare, il tempo che scorre per tutti e tanto più per un quarterback quarantaquattrenne. Brady non era assolutamente in declino fisico o tecnico, anzi: ha scelto di ritirarsi in un momento in cui stava ancora giocando a livelli celestiali, non lontani dal prime assoluto della sua carriera.
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Se lo avesse voluto, avrebbe potuto prolungare il suo personale match di pugilato contro Father Time di una, forse addirittura due riprese. L’ultimo touchdown della sua carriera, una bomba di 55 yard lanciata sopra la testa del miglior cornerback della lega, non sembra certo mostrarci un giocatore che ha finito la birra.
In quella partita di playoff contro i Los Angeles Rams sono racchiuse sia le ragioni del suo addio, che quelle che avrebbero potuto portarlo a inseguire l’ottavo anello nel 2022. A tre minuti dalla fine del terzo quarto i Buccaneers di Brady erano sotto di 24 punti – un’enormità visto il poco tempo a disposizione – e sembravano condannati a una triste uscita di scena.
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Affaticato e sanguinante dal labbro inferiore per i colpi ricevuti, Brady ha comunque saputo orchestrare l’ennesima rimonta leggendaria della sua carriera, portando i Bucs a pareggiare con una manciata di secondi sul cronometro una partita poi comunque persa crudelmente nel finale.
A posteriori, è come se prima di uscire di scena Brady ci tenesse a ricordare una volta di più chi è lo sceriffo in città. A mancargli non era il talento da spremere dal suo braccio destro, ma la voglia di sottoporsi ai sacrifici necessari per continuare a farlo. Se stiamo alle sue parole, gli è mancata la forza di proseguire il “competitive commitmentt”, di continuare a dare il 100% di sé stesso allo sport che ha dominato così a lungo.
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PERCHÉ BRADY SI È RITIRATO
Forse è davvero così, forse Brady non aveva più la forza mentale di alzarsi all’alba, trangugiare frullati proteici e passare le serate davanti a uno schermo per studiare la prossima difesa da affrontare. Qualcosa però non torna. A giudicare dal suo sguardo spiritato mentre implorava gli arbitri di lanciare una flag per pass interference, o da come si è rialzato dopo ogni colpo infertogli da Aaron Donald e Von Miller, sembra assurdo vedergli scrivere parole di resa mentale.
Forse un’altra chiave sta proprio nell’effetto dei colpi che ha subito quella domenica a Tampa. Non tanto l’effetto su di lui che li ha subiti, ma su chi li stava osservando dalla tribuna VIP del Raymond James Stadium.
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Qualche giorno dopo la sconfitta con i Rams, Tom Brady si è aperto sul rapporto di sua moglie Gisele Bündchen con la carriera del marito: «La addolora molto vedermi colpito in campo».
Fosse stato per lei, che ha sacrificato la sua carriera da super model per accudire i figli e permettere a Brady di concentrarsi sul football, Tom si sarebbe dovuto ritirare lo scorso anno, subito dopo aver vinto il suo settimo Super Bowl. Poco prima della premiazione gli ha sussurrato all’orecchio «What more do you have to prove?», cos’hai ancora da dimostrare?
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Tom non aveva effettivamente niente da dimostrare, ha deciso di tornare per la stagione 2021 principalmente perché il piacere di giocare, competere e vincere è sempre stato il carburante emotivo della sua stessa esistenza, ciò che lo ha reso Tom Brady. Ma è anche un padre che sa di essersi perso tanti momenti con i figli e che ha sentito sul serio la paura di perderne altri.
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Messa sul piatto della bilancia opposto a quello della passione per il football, l’importanza della famiglia ha finalmente pesato di più: «Gisele merita di ricevere da me quello di cui ha bisogno come marito e miei figli meritano di ricevere quello di cui hanno bisogno da me come padre. Passerò più tempo con loro per dargli ciò di cui hanno bisogno, perché loro mi hanno dato quello di cui avevo bisogno per fare quello che amo sei mesi all’anno».
TOM BRADY E GISELE BUNDCHEN
Nei versi finali della poesia di Pascoli, Alexandros si struggeva per il ricordo della famiglia che aveva abbandonato per saziare la sua sete di conquiste. Brady forse è arrivato vicino a fare altrettanto, ma ha scelto la famiglia prima di allontanarvisi troppo. Come diceva Gisele, Tom non aveva nient’altro da dimostrare a fine 2020 e lo stesso discorso vale ora, alla fine della stagione 2021.
Un anno in più avrebbe semplicemente ritardato di dodici mesi le riflessioni e i tributi che stanno piovendo da tutto il mondo dello sport americano e dei suoi appassionati. Qualunque sia il motivo, ora che il Fine è davvero giunto è arrivato il momento di chiederci cos’è stato il football per Brady e cosa Brady ha rappresentato per il football.
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NON C’È NIENTE DOPO IL FOOTBALL
Tra le dichiarazioni rilasciate negli anni da Tom, le più impressionanti sono senza dubbio quelle sull’amore per il football. Nel 2015, quando si iniziava timidamente a parlare di piano di pensionamento per l’allora trentottenne, Brady dichiarò: «Quando la gente mi chiede “Cosa farai dopo il football?” io rispondo “cosa intendi per ‘dopo il football?’ non c’è niente dopo il football”».
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Qualche anno dopo avrebbe detto: «Se vuoi competere con me ti conviene rinunciare alla tua vita, perché io ho rinunciato alla mia». Uscite come queste emanano un fascino sinistro. È impossibile non ammirare una dedizione che arriva al punto di «rinunciare alla vita», ma allo stesso tempo sentire un atleta affermare che dopo il football mette in mostra quanto possa essere salato il conto per il successo sportivo.
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Questo tipo di etica del lavoro sconfina al di là della dedizione fino ad addentrarsi nel campo dell’ascetismo. Tom Brady ha amato il football come i monaci mistici amavano Dio, un amore ustionante al punto dall’essere a volte indistinguibile dal sacrificio e dalla mortificazione dei bisogni terreni.
Dedicarsi anima e corpo alla sua arte è stato un piacere ma anche una necessità. Brady ha sempre saputo che senza dare tutto al football non avrebbe ottenuto in cambio nulla. Senza quel tipo di abnegazione estrema non solo non sarebbe diventato il più grande di sempre, ma forse non sarebbe stato a lungo un quarterback NFL.
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Tra i grandissimi dello sport è quello che è partito da un talento di base meno scintillante. Non sarebbe arrivato dov’è ora se avesse fatto affidamento sul suo atletismo da pensionato e su un braccio buono ma comunque non eccezionale. Brady ha dovuto studiare per migliaia di ore e dedicarne altrettante ad allenarsi per limare ogni difetto del suo gioco ed essere sempre un passo avanti rispetto a chi lo affrontava.
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Solo respirando football senza sosta ha potuto trascendere i limiti del suo corpo e dominare lo sport attraverso un controllo mentale sul campo che non ha precedenti nella storia del gioco. Di tutte le cose che sono state dette su Brady e a Brady, una delle più significative è anche la più semplice: «Stop throwing the ball so fast, Tom!». Smettila di lanciare così in fretta, Tom.
Siamo abituati a parlare di Brady come di un assassino spietato, gelido e implacabile, e in effetti in tanti dei suoi game winning drive si può indovinare la metodicità di un serial killer. In quelle situazioni le ore di studio e allenamento pagavano i loro dividendi, permettendogli di avanzare spietatamente per il campo. La passione smisurata di Brady per il football è emersa anche in modalità decisamente più focose.
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In campo Brady è stato anche è stato Psycho Tom, un maniaco capace di infiammarsi di passione e strillare a pieni polmoni il suo iconico «LET’S GO!». Il suo football è un misto di ascesi ed estasi mistica, è stato la compostezza apollinea di drive dall’eleganza neoclassica e il furore dionisiaco sprigionato nelle esultanze, nei discorsi motivazionali e persino nei litigi in sideline.
Non è difficile capire perché per Brady il football abbia significato tutto: è stato la forma di espressione più alta del suo talento ma soprattutto della sua indole competitiva. È altrettanto facile capire perché ha faticato così tanto a dirgli addio. Per un uomo che ha sempre vissuto di sfide, non sarà facile reinventarsi al di fuori della dimensione competitiva che lo sport gli ha sempre garantito.
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Lo ha sempre saputo anche suo padre Tom Sr, che da anni temeva il momento in cui il figlio avrebbe dovuto dire addio al football. Tom si è preparato fondando un brand di fitness e una linea d’abbigliamento, ma trovare un sostituto dell’adrenalina da game day sarà altrettanto difficile che recuperare 25 punti nel finale di un Super Bowl.
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COS’È STATO TOM BRADY PER IL FOOTBALL
È impossibile quantificare l’impatto di un giocatore che ha preso parte al 18% di tutti i Super Bowl disputati dal 1967 ad oggi, è superfluo aggiungere che è impossibile raccontare la storia del football senza di lui. Ovviamente la NFL è la lega che è oggi grazie a Brady. Forse possiamo spingerci un po’ più in là. Come ha scritto Kevin Clark su The Ringer, in ventidue anni di carriera Brady ha plasmato la NFL a sua immagine e somiglianza.
Ha ridefinito il concetti di dinastia e vittoria, ha incarnato il prototipo del quarterback vincente, ha ricalibrato il peso e il valore di un’infinità di record, ha rimodellato il volto tattico della lega aprendola in modo decisivo alle novità della spread offense, ha indotto una buona metà delle squadre della NFL a modellare, fallendo quasi sempre, il loro franchise attorno all’immagine dell’infallibile macchina da guerra che furono i suoi Patriots.
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Per Brady non sarà facile dire addio alla NFL, ma anche per il mondo del football salutare la sua icona sarà tutt’altro che una passeggiata. Brady si ritira dal football con un tale vantaggio sugli altri pretendenti al titolo di migliore di tutti i tempi da aver sostanzialmente chiuso la partita. Nessun quarterback ha lanciato più touchdown, yard e completi o vinto più partite, partite di playoff e Super Bowl.
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Ovviamente non lo ha fatto da solo, ed è certo che senza l’organizzazione metodica dei Patriots alcuni record sarebbero meno impressionanti e irraggiungibili, ma il palmarès di Brady resta spaventoso, forse addirittura eccessivo, nel senso che mentre ammiriamo le sue imprese non può non farsi strada il pensiero che una cosa del genere non la vedremo più. Molti hanno anche esultato, perché Brady è stato tutt’altro che un personaggio universalmente amato.
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Da qualche parte si è festeggiato parecchio, soprattutto sugli account social delle squadre a cui Brady ha strappato il cuore con più crudeltà, ma forse proprio i tifosi delle sue vittime predilette sono quelli più legati a Brady al di fuori di Tampa Bay e Boston. Scrivo con cognizione di causa, visto che se Brady fosse finito a fare l’assicuratore (come aveva considerato sul serio quando sembrava che nessuna squadra lo avrebbe draftato) la squadra che tifo non si sarebbe fatta strappare dalle mani un Super Bowl già vinto.
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Tom Brady è stato tutto quello che potessimo chiedere, nel senso che ha saputo elevare al massimo l’esperienza di seguire la NFL, accentuando le gioie e i dolori che questa lega sa regalare e infliggere. Per i tifosi di Bucs e Patriots Brady è stato il miglior idolo da sostenere, per quasi tutte le altre franchigie, compresa la mia, il nemico perfetto da odiare. Nel bene e nel male è stato protagonista di quasi tutti i momenti più significativi dell’ultimo ventennio.
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Ha trafitto gli Atlanta Falcons, impedito a due delle migliori squadre della storia di completare il repeat, ha funestato anni della carriera di Peyton Manning con sconfitte brucianti ai playoff. Non è mai stato banale neanche nelle sconfitte: su due dei tre Super Bowl che ha perso – 2007 con i Giants e 2017 con gli Eagles – si potrebbero girare film da Oscar. Chi è stato al centro delle controversie più scottanti, dalla tuck rule al defilate Gate? Sempre e solo lui.
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COME SARÀ IL FOOTBALL DOPO TOM BRADY?
Non dev’essere stato facile regnare dopo Luigi XIV, o dipingere dopo Picasso, o comporre versi dopo Dante. Nessuno vorrebbe essere nei panni di coloro che dovranno raccogliere la torcia dalle mani di Tom Brady. Fortunatamente la lega non è in deficit di quarterback fenomenali, anzi, a dire vero il talento nella posizione non è mai stato così abbondante. Eppure per tutti i QB in attività non sarà facile riempire il vuoto lasciato da un personaggio del genere.
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Per noi che la seguiamo, la NFL continuerà ad essere la lega più esaltante al mondo, ma il vuoto lasciato da Tom Brady continuerà a farsi sentire. Ci sarà tempo per constatare quanto sarà strano non vederlo in campo, non cerchiare più sul calendario i suoi scontri con Aaron Rodgers o Patrick Mahomes, non sentire più quell’”adesso ci pensa lui” che abbiamo provato, chi con speranza e chi con timore, quando è sceso in campo con due minuti sul cronometro e un touchdown da segnare.
Prima di pensare a come sarà la vita senza di lui, in questi primi giorni dell’anno o dopo Brady faremmo bene ad apprezzare a pieno cosa sono stati i ventidue precedenti. Brady ha dato a tutti noi il privilegio di poter amare, rispettare, temere e odiare il più grande di tutti i tempi. Per questo non possiamo far altro che ringraziarlo.