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    SOLLIMA IN THE USA - IL REGISTA DI “SUBURRA” E “GOMORRA” VA A HOLLYWOOD PER DIRIGERE IL SEQUEL DI “SICARIO”, IL THRILLER SUI NARCOS CON BENICIO DEL TORO: “HO DETTO NO A FILM INUTILI, SCONTATI, ACTION CHE TI VEDI SU NETFLIX ALLE TRE DI NOTTE. CERCO QUALCOSA DI MEGLIO”


     
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    Arianna Finos per “la Repubblica”

     

    Stefano Sollima è con un piede sull’aereo per Hollywood. «Non ho ancora firmato», sottolinea. Ma a meno di un colpo di scena degno di Gomorra, questo viaggio dovrebbe certificarlo regista di Soldado, il sequel di Sicario, thriller sul narcotraffico con Benicio Del Toro e Josh Brolin. «Sto trattando per vari film in America, faccio avanti e indietro dai tempi di A. C. A. B. Soldado è quello in fase più avanzata».

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    “Sicario” di Denis Villeneuve era un crudo ritratto del narcotraffico messicano.

    «Un gran film. Vicino per stile, tematiche e approccio al mio cinema. Ma i produttori di Black Media, più che a un sequel classico, pensano a una serie antologica di film indipendenti che partono dal mondo creato da Sicario».

     

    Dalla Marvel alle favole, Hollywood espande universi e personaggi, sul modello della serialità tv.

    «È un’esigenza di noi spettatori. Investiamo emotivamente in un mondo e nei suoi personaggi, rivederli in un altro film fa piacere. Ma se in Sicario lo sguardo era quello di Emily Blunt, stavolta al centro ci sono gli ex antagonisti: il boss Benicio Del Toro e l’agente Brolin. Lo sceneggiatore Taylor Sheridan ha disegnato un potentissimo incontro ravvicinato. Al posto della Blunt c’è un nuovo personaggio femminile, la figlia sedicenne di un boss del narcotraffico».

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    Com’è andato l’incontro con Brolin e Del Toro?

    «Bene. Non sono divi hollywoodiani, sono uomini pratici. Brolin l’ho incontrato a Los Angeles, si era visto sei episodi di Gomorra in una serata. Gli è piaciuta l’evoluzione del rapporto tra lui e Benicio. Del Toro invece l’ho incontrato a Londra. Sono un suo fan da sempre, ci accomuna una visione latina del racconto cinematografico, c’è un’affinità culturale speciale».

     

    Qual è la visione comune?

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    «La neutralità morale con cui tratti i personaggi, senza paura di raccontarne tutti gli aspetti. Questo li rende veri e sorprendenti. Gli riconosci una profonda umanità, al di là delle loro azioni. L’idea di un film asciutto, brutale, estremamente adulto e realistico».

     

    Abbastanza atipico nel paesaggio americano.

    «Sì. Una scelta coraggiosa per una grande produzione hollywoodiana. Il rischio per noi europei è perdere in questi casi purezza d’intenti, lucidità di sguardo. Sono abbastanza fermo, su questo punto».

     

    STEFANO SOLLIMA SUL SET DI GOMORRA LA SERIE STEFANO SOLLIMA SUL SET DI GOMORRA LA SERIE

    Quanti copioni le hanno offerto in questi anni?

    «Dai tempi di A. C. A. B.? Diciamo una quarantina di film. Polizieschi, noir. Molti li ho rifiutati, compresa una serie con un grande divo americano, perché non mi ci ritrovavo. Ho detto no a film inutili, scontati, action che ti vedi su Netflix alle tre di notte. Cerco qualcosa di meglio rispetto a quel che posso fare in Italia. Ora lavoro anche a un poliziesco tratto da una sceneggiatura originale di James Ellroy, ambientato nella Los Angeles anni Settanta».

     

    Il principale vantaggio rispetto all’Italia?

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    «Il budget. E la possibilità di diffusione e distribuzione incredibilmente più elevata anche solo perché si gira in inglese».

     

    Brolin e Del Toro sono entrambi in “I guardiani della galassia”. Se le chiedessero un cinefumetto”?

    «Farei volentieri solo un Batman secondo Frank Miller. Un essere umano che fatica molto ad essere eroe».

     

    Per cosa la conoscono negli Usa?

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    «Suburra è andato subito su Netflix. Ma soprattutto Gomorra. Ho incontrato a Los Angeles Nic Pizzolatto, il creatore di True Detective. Aveva visto la Gomorra 1 in due giorni. Mi ha detto: “Straordinaria la spregiudicatezza e la velocità con cui avete esaurito linee narrative e sacrificato personaggi chiave”. Credo sia questo il segreto di Gomorra e Romanzo Criminale. Non bisogna progettare troppo, ma lavorare su ogni stagione come se fosse l’ultima. Solo le serie uniche e irripetibili sono destinate a diventare un culto».

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