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Brunella Schisa per Il Venerdì – la Repubblica
Eugenia, quindicenne romana, viene trasferita di peso a Los Angeles dalla sua famiglia.
Parla un inglese imperfetto e viene iscritta in una scuola dove la prima regola è: non indossare i colori di una gang.
Siamo nel 1992, nel pieno della rivolta razziale. Tutto è estraneo a Eugenia, e lei stessa viene vista come un oggetto esotico dai suoi coetanei. Unica protezione è la Madonna cui Eugenia si rivolge stupefatta per affrontare quella cultura aliena.
Presto scoprirà il sesso, la droga, i rave, l' amore e la sua identità. L' irresistibile romanzo d'esordio della scrittrice e sceneggiatrice Chiara Barzini, diverte e commuove. Eugenia, così come tutta la sua famiglia e la strana fauna che le gira intorno, compongono un affresco dell' America degli anni Novanta impietoso eppure pieno d' amore.
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Eugenia non dice no a nessuna esperienza. Le somiglia?
«Sicuramente da adolescente ho cercato soluzioni un po' "sperimentali" alle sfide della vita. Eugenia è la versione bionica di me stessa. Io l' ammiro molto perché nella sua goffaggine ha una certa grazia. E perché anche quando sembra autolesionista, in realtà ha un piano B, magari discutibile ma che a lei funziona».
Il pregiudizio degli italiani per la scuola americana, non solo per le gang e le armi , ma per il sistema d' insegnamento, è in parte confermato dal suo libro.
«Sicuramente è un sistema elitario. Però è un' incredibile nave scuola di indipendenza, uno stimolo alla creatività, cosa che nella scuola italiana manca completamente. Ho fatto un anno di liceo a Roma e sono stata bocciata. Avevo una professoressa che ha lottato con tutte le sue forze per combattere il mio approccio sperimentale alla letteratura. Quei "no" mi hanno fatto molto più male degli spelling test americani».
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Cosa si prova a fare parte di una minoranza? Ha dovuto, come Eugenia, indossare un' armatura?
«In California non era facile trovare altri italiani con cui fare gruppo e mi sono dovuta inventare un' identità tutta nuova. Però gli europei hanno vantaggi che la gran parte delle minoranze etniche americane non hanno. Soprattutto in questa epoca di terribile razzismo fomentato da Trump».
Perché ha scelto di scrivere in inglese per poi tradursi?
«Ho fatto il liceo e l' università negli Stati Uniti. Ho scritto il mio primo racconto a sedici anni in inglese e ho continuato a studiare lì per molti anni. È una lingua che ormai mi appartiene. Avevo cominciato a scrivere in italiano, ma sono entrata in crisi; allora ho provato in inglese e il romanzo ha preso vita. In italiano c' è sempre lo spettro del giudizio. Una sfilza di voci che ti girano in testa e dicono "NO!
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Quello non lo puoi mica dire!"».