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Valeria Arnaldi per "Il Messaggero"
I numeri dei casi che aumentano vertiginosamente. Lunghe code per fare tamponi. Strutture sanitarie che non hanno ancora sufficienti aree e percorsi per i pazienti Covid. La seconda ondata era stata annunciata già durante il lockdown, eppure varie realtà sembrano in ritardo nell'organizzazione dei dispositivi per fronteggiare l'emergenza.
Professor Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie infettive dell'ospedale San Martino di Genova e componente della task force Covid-19 della Regione Liguria, cosa sta succedendo?
«Nella mia regione, negli ultimi quattro mesi, abbiamo lavorato per decidere dove erano i posti di terapia intensiva, di semi-intensiva, di bassa e di media complessità. Si sarebbe dovuto fare in tutta Italia. Se ci sono regioni già in difficoltà, significa che non è stato fatto quello che si doveva. Bisognava tenere la macchina con il motore acceso».
La sensazione è quella di una rincorsa
«E non dovrebbe essere così, anche perché in questo momento la situazione sta riguardando prioritariamente la bassa e media complessità: i ricoveri sono tanti ma di persone con sintomi che possono essere gestiti pure nei reparti di medicina, non casi complicati come a marzo/aprile».
I problemi però ci sono, basta pensare alle code per i tamponi.
«Quando vedo una persona fare otto ore di coda per un tampone, penso che chiaramente qualcosa non ha funzionato. Servirebbe anche maggiore oculatezza nella richiesta dei tamponi, in alcuni casi è una sorta di modo per scaricare le responsabilità, si fanno fare perfino se non ci sono sintomi o non c'è stato un vero contatto».
Molte difficoltà attuali erano evidenti già nella prima ondata: perché non ci si è preparati nel frattempo?
«Non voglio giustificare ovviamente, ma non è semplice, ad esempio, convertire un ambulatorio in poco tempo. La nostra burocrazia è la più complicata del mondo. Non credo sia un problema di volontà. Penso che tutti i governatori vogliano dare un servizio migliore ai cittadini, però se poi i finanziamenti non sono stati sbloccati, se l'accesso ai fondi è stato complesso, se non hai potuto assumere perché i contratti non li hai potuti fare, c'è sempre il cavillo e via dicendo Lo ripeto, non credo sia stata una questione di volontà».
Il ritardo, però, c'è.
«La burocrazia italiana è il peggior nemico della lotta al Covid. Tutti, credo, nelle regioni abbiamo preparato i piani pandemici, la ragione per la quale non sono stati ancora fatti, non penso sia legata all'incapacità di qualcuno ma al fatto che il nostro è un sistema molto ingessato. Dobbiamo imparare la lezione del Covid e renderlo più flessibile, oltre a metterci molti più soldi di quelli dedicati negli ultimi anni. Se c'è un'emergenza, si deve gestire con le regole dell'emergenza. Il Covid è una patologia in cui il tempo è fondamentale. Bisogna fare presto. Come fai a gestirla con un sistema farraginosamente lento?».
Quanto rischiamo di scontare questi ritardi?
«Rischiamo di scontarli pesantemente, purtroppo. Torniamo al tampone. È chiaro che se servono otto ore per farlo, la persona potrebbe contagiare altri. Il tampone si fa per evitare il contagio, così si rischia l'effetto contrario».
Il resto va a cascata?
«Certo. Se facciamo 150mila tamponi e 10mila persone sono positive, c'è chiaramente da aspettarsi che ci sia un aumento dei ricoveri. Il numero cresce, in taluni casi anche in modo improprio».
terapia intensiva coronavirus 1
Servirebbero modalità di gestione alternative?
«Bisognerebbe organizzare strutture extraospedaliere per la bassa complessità, dove mandare chi non necessità di assistenza ospedaliera o chi non ha più bisogno di ossigeno ma non è ancora in condizioni di tornare a casa. Alcune regioni le hanno, altre no.
A livello centrale, inoltre, dovrebbero essere valutati parametri da dare alle regioni, sulla base dei quali adottare misure. Sarebbero più utili di una misura unica per l'Italia, che potrebbe non funzionare. Un altro lockdown non sarebbe possibile a livello economico, sociale e sanitario. Meglio lockdown e zone rosse individuate su base regionale».
Guardando avanti cosa vede?
«Nessuno può dirlo. Certo se andiamo avanti con i ritmi attuali di crescita, il sistema non può reggere fino a marzo, diventa veramente difficile».
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