putin orban
Monica Perosino per “la Stampa”
Tentare di entrare nella testa di Viktor Orban e nel cuore della sua Ungheria può essere un viaggio affascinante e spaventoso allo stesso tempo. Affascinante perché nessuno può negare la sua eccezionale abilità politica, un miscuglio raffinato di calcolo e creatività che ha trasformato l'Ungheria nel primo laboratorio illiberale d'Europa. Spaventoso, perché i risultati della sua fame di potere sono inversamente proporzionali agli spazi democratici rimasti in un Paese in cui, in dieci anni, il perimetro di libertà si è stretto come un cappio.
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Eppure «Orban è diventato un influencer globale, un'icona pop a cui le destre si ispirano» spiega lo storico e saggista Stefano Bottoni, professore associato all'Università di Firenze, uno dei massimi esperti del mondo magiaro contemporaneo. Par già di sentire chi urla che Orban è stato democraticamente eletto, e che dimentica, o vuole dimenticare, che in Ungheria il sistema «è basato su un consenso elettorale dopato». Del resto anche in Russia si vota.
VIKTOR ORBAN GIORGIA MELONI
Distratti dallo sdegno per i muri anti-migranti, per le leggi che vogliono le donne a casa a fare figli e i bambini protetti dagli omosessuali, ci siamo persi la raffinatezza con cui nel frattempo Orban costruiva il suo regno e metteva in atto il suo schema. In molti Paesi europei il consenso liberale post Guerra Fredda si è incrinato, ma «in Ungheria è diventato un nuovo sistema politico, un regime in cui il governo di destra non può essere sconfitto alle elezioni», dice Bottoni, che spiega come alcuni scomodi elementi identitari di Fidesz siano stati "esternalizzati": «Orban ha creato a tavolino Mi Hazánk, un partito che formalmente è all'opposizione, ma che porta avanti i temi più estremi, come le battaglie anti rom e anti migranti e le posizioni no vax.
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Il terzo partito del Paese è un'opposizione finta, insomma», simbolo di un sistema politico «fatto da clienti, in senso medievale, di Viktor Orban». Perdere le elezioni, così, è impossibile.
Anche la stangata dell'Unione Europea non lo coglie impreparato: «C'è un trucco che potrebbe trasformare l'affondo della Ue in un compromesso al ribasso perché Budapest non fa parte della Eppo, la procura europea». Per evitare i tagli Budapest ha promesso 17 misure specifiche. La più rilevante è l'istituzione di un'autorità anti-corruzione indipendente e con ampi poteri di scrutinio: «In questo modo Orban creerà una propria commissione, un'autorità ungherese, così il controllo rimane nelle sue mani. Se Bruxelles avesse voluto mettergli i bastoni tra le ruote l'avrebbe costretto ad entrare nell'Eppo».
giorgia meloni e viktor orban
Orban deve agire in fretta e non può commettere errori, soprattutto in un momento tragico per l'economia. Dal primo novembre l'Ungheria entrerà di fatto in un lockdown economico non dichiarato, dove, anche per i costi dell'energia, molte attività dovranno chiudere temporaneamente: «Le casse sono vuote, Orban ha dovuto anticipare i fondi Ue congelati da sei mesi e ora non c'è più nulla da raschiare». Da treno economico a ronzino con crescita zero è stato un attimo. E se la crisi morde le alleanze sono cruciali.
giorgia meloni con viktor orban
Il conservatorismo valoriale è il collante di amicizie di lunga data, ma è a Giorgia Meloni che ora il teorico della democrazia illiberale guarda: «A Berlusconi era legato da anni, ma come leader lo giudica troppo anziano. Anche Salvini è uscito dal suo carnet, quando nel 2019 ha capito che non era all'altezza. Ma nel 2020 Orban ha iniziato ad avvicinarsi a Meloni, ha visto che è una leader che studia, che ha un modo di fare politica più strutturato, più compatibile al suo».
Lo scotto da pagare è che chi si allea ad Orban, oltre al pesante fardello illiberale, si porta sulle spalle anche un orizzonte pericolosamente vicino a quello di Putin, quello di un Paese in cui la propaganda russa è il cuore del sistema mediatico: «L'Ungheria - come la Russia e la Serbia - ha un passato imperiale mal digerito. Orban vuole controllare i territori pre trattato di Trianon, anche se da un punto di vista non territoriale, ma culturale ed economico».
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Un forma più "gentile" del Russkiy mir di Vladimir Putin. «Come Vucic e Putin condivide l'idea di essere vittima di un'egemonia occidentale a cui bisogna opporsi». Orban è riuscito a depotenziare il sentimento storicamente antirusso della destra ungherese, trasformandolo anzi in pulsione antioccidentale e antiucraina.
Un capolavoro politico la cui prima arma è stato il controllo totale della cultura: «Intendo continuare la mia offensiva culturale», diceva dopo l'ultima vittoria elettorale. Il suo populismo pragmatico si è tradotto in centinaia di miliardi investiti per controllare le università, l'editoria, l'istruzione, i centri di ricerca, i think tank: «Se la destra italiana impara anche solo una parte di questo ricettario la sinistra è finita, sarà una tabula rasa».
GIORGIA MELONI VIKTOR ORBAN
Il premier magiaro affascina leader ed elettori per aver rispolverato la sovranità della politica, in un epoca «in cui governi tecnici e ruoli marginali dei leader sono la norma. Lui è il simbolo del dirigismo forte e del corporativismo, con Orban non sono le multinazionali a decidere l'economia, ma il suo protezionismo selettivo. Le banche, le grandi aziende, le assicurazioni sono "statali", controllate dai suoi oligarchi. La politica è sovrana, è lei che detta il ritmo all'economia, non il contrario».
viktor orban vladimir putin
Ma c'è di più: Orban non è solo un modello per l'oggi, ma anche per il domani: «Viktor è stato chiaro, quando l'Ungheria diventerà contribuente netto dell'Unione si rivedranno i rapporti». Ovvero, quando non sarà più conveniente, potrebbe decidere, assieme alla Polonia, di uscire dal club. Il sogno di un'Europa unita dai valori, e non dai soldi, è un'utopia pericolosa, «perché con i valori non si è mai motivato nessuno».