Ottavio Fabbri per ''Libero Quotidiano''
ottavio fabbri
New York, dicembre 1965. Pensavo che oggi facesse più freddo e quindi mi fa piacere uscire. Mi viene a prendere Fred Hughes, distintissimo manager di Andy Warhol conosciuto da poco nella galleria di Leo Castelli.
Arriviamo al Chelsea Hotel. Fred deve vedere uno scrittore tedesco di cui non ricorda il nome ma "very talented".
Prima stranezza in sintonia con il luogo la cui hall di ingresso, se così si può chiamare, è popolata dagli individui più stravaganti che si possano immaginare. Uno fa acrobazie con uno yo yo mentre canta ubriaco, una donna in bikini fuma un enorme sigaro facendo nuvole di fumo denso che infastidiscono un nano che continua a tossire e a ridere. A Fred adesso è venuto in mente il nome del suo scrittore, Charles Bukowski. Il concierge, anche lui certamente ubriaco, dice quarto piano. Prendiamo l' ascensore, puzzolente. Al secondo piano si apre la porta scorrevole ed entra tranquillo un piccolo coccodrillo. Vorrei andarmene appena possibile.
il chelsea hotel
Quarto piano: il coccodrillo esce e ad attenderlo c' è, credo, il suo proprietario «Jimmy! How are you doing». Usciamo anche noi e Fred chiede del suo scrittore. Mai sentito. Intanto su di una sedia a rotelle avanza spinto dall' uomo più pallido che io abbia mai visto, un giovane con occhiali scuri, credo non vedente. Si forma un capannello di persone un poco sconvolte che praticano una endovena nel braccio del giovane.
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Il gruppetto gli sta intorno aspettando non si capisce cosa «Alcaloid thirdy five per cent, ammoniac two per cent». In una cantilena surreale il giovane cieco declina la composizione della droga che gli hanno iniettato quale assaggiatore di fiducia delle partite di eroina sottoposte al suo verdetto. Una specie di gran giurì della droga. Un "sommellier super partes" se così si può considerare, mi dicono appartenente ad una grande famiglia americana. Per oggi ne ho viste abbastanza. Lascio Fred Hughes alla ricerca del very talented scrittore tedesco e scendo (per le scale) certo che non avrei mai più messo piede al Chelsea Hotel.
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