Pierluigi Panza per il “Corriere della Sera” - Estratti
BRIAN JAGDE
Nato a New York 44 anni fa, Brian Jagde, Don Alvaro ne La forza del destino, opera che il 7 dicembre (non ci sarà «con rammarico» il presidente della Repubblica Mattarella per sopraggiunti impegni istituzionali) inaugurerà la nuova stagione scaligera e in cui sostituirà il tenore Jonas Kaufmann, ha calcato i palcoscenici di Usa, Giappone, Germania, Austria, Francia e Italia. Vive tra New York e Roma ed è stato alla Scala la scorsa primavera per Cavalleria rusticana e a luglio per Turandot .
Che emozioni le suscita essere alla «prima» di questo teatro come «per caso»?
«Amo questo teatro ed è un onore cantare all’inaugurazione: è il giorno più importante per l’opera in Italia e molti lo considerano il più importante nel mondo. Sono stato chiamato a sorpresa, ma anche la precedente volta alla Scala fu così. Evidentemente è destino».
JONAS KAUFMANN
Ha iniziato le prove?
«Sì, subito dopo l’ultimo giorno di recita a Barcellona in questo stesso titolo ho viaggiato e poi provato per alcuni giorni, ormai: è stato folle, molto veloce».
Le sue origini di cantante?
«In famiglia amavamo la musica. I miei cantavano rock and roll, i Beatles, i Led Zeppelin... Cantavamo nei viaggi in macchina e abbiamo sempre ascoltato musica. Cantavamo nei cori e nei musical. Ho frequentato un college per studiare informatica ed economia, ma le detestavo, così abbiamo trovato una scuola di canto. Non sapevo cosa fosse la lirica, ma la scuola mi ha fatto imparare l’opera. Avevo vent’anni e ho deciso che sarebbe stata ciò che volevo fare nella vita».
Per otto anni è stato un baritono...
«In realtà non sono mai stato un vero baritono perché avevo voce da tenore, ma gli insegnanti mi facevano cantare baritono perché avevo un timbro scuro. Cantavo sempre in toni alti, ho cambiato insegnante e sono diventato tenore. Anche Domingo ha cambiato ruoli: i tenori sono strani. Come baritono canti le parti di cattivo; il tenore ha un ruolo più romantico».
Ha fatto diversi Verdi e molto Puccini.
BRIAN JAGDE
«Come tenore ho debuttato nella Bohème e amo la Butterfly . Non ho mai fatto ruoli di Donizetti, sono andato a Puccini perché appropriato al colore della mia voce: devi avere voce squillante per cantare sopra i corni e gli ottoni che suonano le stesse note del tenore. In Verdi è più facile cavalcare l’onda: Verdi è più classico; in Puccini c’è più umanità e verismo».
Ha fatto Don Alvaro a Parigi, a Barcellona, al Metropolitan e alla London’s Opera House. Quali le differenze?
«Ho fatto da cinque anni La forza del destino e ogni volta imparo qualcosa. La prima a Parigi fu molto tradizionale; al Met sperimentale: eravamo intorno a una tavola rotante.
Cambia anche il mio atteggiamento verso Leonora e viceversa; certo, cantare con Anna Netrebko e con gli altri cantanti e questi direttori è un privilegio. La regia di Leo Muscato è brillante, un mix tra classico e nuovo. I vestiti facili da indossare, di lino. È una messa in scena non collocata storicamente».
ANNA NETREBKO e JONAS KAUFMANN LA GIOCONDA
Difficoltà del ruolo?
«È un ruolo sfidante quando canti l’intera opera. Nel passato è stato spesso tagliato il duetto gigante con il baritono del III atto, che dura 12 minuti. Contiene due si naturali e tanti si bemolle. Qui lo facciamo tutto. Ora questa parte è diventata la mia preferita».
(...)
Paura di Trump?
«È una figura non adatta per gli Usa e per l’Europa. Nel mondo bisogna agire con più umanità, ma il voto è il riflesso della società e ciò significa che molti si identificano in questo tipo di leader. Queste decisioni mi fanno paura».
La cultura democratica è anche quella woke: questo atteggiamento non è pericoloso per la lirica?
«Dobbiamo essere sensibili verso tutte le culture senza cancellare l’arte: serve per farti ridere, piangere e pensare sulle scelte. Ti puoi arrabbiare guardando un dipinto o ascoltando un’opera, puoi diventare pazzo perché pensi che sia razzista, ma il nostro lavoro è promuovere qualsiasi emozione non per farti felice, ma per farti venire dei dubbi. L’arte non è sbagliata: ti fa pensare alle cose che possono essere sbagliate».
Brian Jagde