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    "SE UNA PERSONE ARRIVA A VOLERE IL SUICIDIO ASSISTITO È PERCHÉ VUOLE VIVERE ANCHE LA SUA MORTE" - IL TEOLOGO VITO MANCUSO: "IL PRINCIPIO DELL'AUTODETERMINAZIONE NON È IN CONTRASTO CON LA DOTTRINA CATTOLICA MA LA CHIESA PURTROPPO SU UNA SERIE DI QUESTIONI DI MORALE INDIVIDUALE E PRIMA ANCORA DI DIRITTI UMANI NON HA SEMPRE BRILLATO. PROPRIO LA CHIESA, CHE DOVREBBE ESSERE ILLUMINANTE NELLA CURA DELLA VITA COSCIENTE E LIBERA, SPESSO GIOCA UNA PARTITA DI RETROGUARDIA. LA VITA È SACRA, MA SOLO SE È LIBERA"


     
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    Domenico Agasso per "la Stampa"

     

    VITO MANCUSO VITO MANCUSO

    Non esiste persona che non voglia vivere. L'istinto di sopravvivenza è la forza più radicata che esista. Se uno come "Mario" giunge a volere il suicidio assistito non è perché vuole morire, ma perché vuole vivere, vivere anche la sua morte. Questo è decisivo da capire. La morte è inevitabile, ma la si può affrontare da persona consapevole anche in condizioni fisicamente drammatiche». Lo esclama con forza Vito Mancuso, teologo e filosofo cattolico ritenuto da una gran parte della galassia ecclesiale un «eretico».

     

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    Come definisce la decisione del Comitato etico su "Mario", tetraplegico da 10 anni? «Inevitabile. Doveva avvenire ed è avvenuta. Esiste una logica dentro cui l'umanità vive che si chiama evoluzione, processo, trasformazione. Quindi penso che oggi l'esercizio dell'etica nel nostro tempo non possa prescindere dall'autodeterminazione su se stessi, che tra l'altro, come ricordava Hans Kung, non è in contrasto con la dottrina cattolica».

     

    «Inevitabile» significa che è arrivata in ritardo?

    «Forse siamo puntuali. Nel senso che per arrivare a ottenere un ampio consenso della nostra società su questioni così delicate era necessario passare da dove siamo passati. Questo riconoscimento è ciò di cui la nostra comunità ha bisogno perché ci possa essere etica e libertà. Altrimenti ci sarebbe solo imposizione».

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    La Chiesa sostiene che la via per i casi come "Mario" siano le cure palliative: basterebbero?

    «Per alcuni malati sì. Per altri no. E non può che essere la coscienza dell'individuo coinvolto in casi così delicati a dire se sono sufficienti. La Chiesa purtroppo su una serie di questioni di morale individuale e prima ancora di diritti umani non ha sempre brillato per essere all'avanguardia. Proprio la Chiesa che dovrebbe essere trainante e illuminante nella cura della vita cosciente e libera spesso gioca una partita di retroguardia».

     

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    Ma allora su questi temi quale dovrebbe essere il punto di riferimento per un cittadino cattolico?

    «È la coscienza, che secondo il Concilio Vaticano II è il vero e proprio luogo in cui lo spirito di Dio parla all'uomo, una specie di santuario che ogni essere umano ha dentro di sé. Quando siamo in presenza di uno Stato come il nostro che garantisce l'esercizio della libertà di coscienza siamo fortunati. Quindi penso che i cattolici siano chiamati a essere fedeli alla retta coscienza. E che cosa sia giusto o sbagliato quando si tratta dell'esistenza fisica gravemente sofferente lo può giudicare solo chi è nella situazione concreta».

     

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    Per la Chiesa la vita è sacra e inviolabile. E la libertà individuale?

    «Ma di che vita stiamo parlando? Di quella di un essere umano, che non è solo esistenza biologica, ma è anche spirituale. E allora che cos' è davvero sacro e inviolabile? La coscienza, che è l'espressione dell'anima spirituale, che si determina a volte anche contro la vita biologica, contro il proprio corpo. E questa è manifestazione di libertà, che deve essere altrettanto inviolabile».

     

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    Può esserci un compromesso in uno Stato laico?

    «Custodire la libertà di coscienza. Sono d'accordo con la sacralità della vita, ma bisogna aggiungere della vita cosciente e libera. E il rispetto della sacralità della vita deve essere così alto da portare al rispetto della decisione di ogni singolo essere umano, soprattutto quando attiene alla sua esistenza segnata dal dolore atroce a causa di una malattia irreversibile».

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