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    MA CHE MANGA DICI?! – VELTRONI E' "INQUIETO" PER I FUMETTI GIAPPONESI “INTRISI DI VIOLENZA"– MA E' UN'ANALISI DA BOOMER: I FUMETTI “MADE IN JAPAN” SONO POPOLARISSIMI IN ITALIA DA DECENNI (NON E' UN FENOMENO RECENTE) - IL DISEGNO È UN MEZZO PER RACCONTARE STORIE, ANCHE COMPLESSE, AD UN PUBBLICO PIÙ AMPIO – SENZA CONTARE CHE INTORNO AI MANGA FIORISCONO INDUSTRIE COMPLEMENTARI (VIDEOGIOCHI, SERIE TV, CARTONI, MERCHANDISING) CHE IN GIAPPONE SONO CONSIDERATE DI PARI IMPORTANZA A SETTORI CONSIDERATI PIÙ “SERI” (ALMENO QUI DA NOI)…


     
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    1. MANGA

    Andrea Brusoni per "il Giornale"

     

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    In un recente articolo pubblicato sudi un noto quotidiano milanese, Walter Veltroni è riuscito a infilare una serie di banalità e inesattezze che hanno scatenato l'ironia e lo sconcerto di appassionati e studiosi del medium fumetto.

     

    Dopo aver constatato che i manga si leggono al contrario e che contengono storie «sempre intrise di una violenza parossistica e perciò irreale», Veltroni rimpiange i bei vecchi tempi in cui la meglio gioventù guardava ai valori democratici americani, mentre ora i ragazzi si fanno abbindolare dalle serie tv coreane e dagli esecrati manga. 

     

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    L'unico pregio di questi ultimi è l'aver portato i ragazzi in libreria, dove si spera che scoprano testi più edificanti. Tuttavia, per quanto inquietante, non bisogna temere il «Vento d'Oriente», chiosa il Walter nazionale, affermando però di non essere in grado di dare «un giudizio definitivo sul fenomeno culturale in corso». Un vero peccato per il lettore, che sperava di poter contare sull'illustre parere e invece si ritrova abbandonato a metà del guado. 

     

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    Viene da chiedersi perché l'eclettico personaggio (sindaco, segretario di partito, regista, scrittore) debba disquisire su argomenti che non conosce, e per quale motivo un giornale come il Corsera non riesca ad affrontare in modo serio l'argomento: già lo scorso luglio era comparso un articolo dedicato al «fumetto senza scopo che ha conquistato il mondo». Per fortuna ci sono studiosi che da anni trattano con cognizione di causa manga e anime, e l'immaginario a essi collegato. 

     

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    Uno di questi è il sociologo Marco Pellitteri, attualmente professore associato alla Xi' an Jiaotong-Liverpool University dopo un'esperienza di insegnamento all'Università di Shanghai; va ricordato che Pellitteri prima di trasferirsi in Cina ha operato come ricercatore in Giappone, trascorrendo cinque anni a Kobe. Il suo ultimo saggio, da poco uscito per i tipi di Carocci Editore, si intitola per l'appunto I manga. 

     

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    Introduzione al fumetto giapponese, ed è un agile volumetto per approcciare seriamente la materia, adatto a qualsiasi lettore, dall'appassionato che troverà una trattazione storico-critica completa, allo studente universitario che apprezzerà i numerosi riferimenti bibliografici. Non dobbiamo stupirci se oggi tra i titoli più venduti in libreria troviamo One Piece di Eiichir®Oda, la storia di un ragazzo dal corpo di gomma al comando di una improbabile ciurma di pirati. 

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    L'Italia è infatti uno dei Paesi che ha meglio recepito le novità provenienti dal suolo nipponico, grazie all'invasione di numerose serie animate sul finire degli anni Settanta e i primi Ottanta, e i relativi giochi, gadget e libri illustrati con le avventure degli eroi televisivi. Prende avvio in questo momento la cosiddetta "manghizzazione", per citare Pellitteri, cioè la diffusione della cultura pop giapponese tra bambini e adolescenti. 

     

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    È un fenomeno che si consolida ed esplode in breve tempo: a distanza di circa un decennio compaiono i primi manga, il cui boom è datato 1990 con la pubblicazione di Akira, capolavoro di Katsuhiro N tomo. A introdurre i manga in Italia contribuiscono pionieri come i "Kappa Boys", cioè Andrea Baricordi, Massimiliano De Giovanni, Andrea Pietroni e Barbara Rossi, attraverso la fanzine Mangacomics e successivamente collaborando con gli editori Granata Press e Star Comics.

     

    È proprio quest' ultima che, nel 1995, pubblica per prima in Europa un fumetto giapponese rispettandone il senso di lettura destra-sinistra: Dragon Ball, di Akira Toriyama. Una piccola rivoluzione, a cui i lettori si abituano subito (con buona pace di Veltroni). Il saggio ripercorre le origini dei manga dall'epoca Edo alla fine della Seconda guerra mondiale, ricordando l'importanza del grande illustratore Hokusai e di come i suoi disegni furono presentati all'Esposizione universale di Parigi, nel 1867, designandoli proprio col termine «manga». 

     

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    Pellitteri prosegue rievocando la nascita dell'industria editoriale del fumetto nipponico e soffermandosi sull'apporto di Osamu Tezuka, che nei tardi anni Quaranta inventa un nuovo formato narrativo chiamato «story manga». Sono storie lunghe organizzate in capitoli legati tra loro, quindi maggiormente sofisticate e di più ampio respiro.

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    È anche grazie al successo di questa formula che lo stile di Tezuka diventa il canone a cui molti autori si uniformano: teste e occhi grandi, volumi curvilinei, sono i tratti distintivi che mutua dalla morbidezza di certe animazioni disneyane e che applica sia alle storie per bambini e ragazzi, sia a quelle più crude. 

     

    Tezuka è noto in Italia per le serie animate tratte dalle sue opere: La principessa Zaffiro, Kimba il leone bianco, Astroboy. Per la sua importanza è stato soprannominato in Giappone "dio dei manga": si capisce così perché la mostra Manga Heroes, in corso a Milano, rechi come sottotitolo la dicitura Da Osamu Tezuka ai Pokemòn. Mentre il settore si consolida superando le difficoltà del dopoguerra, tra gli anni Cinquanta e Sessanta nasce e si afferma un nuovo modo di concepire i manga: il gekiga o «immagini drammatiche». 

     

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    Un fumetto maturo, d'autore diremmo oggi, indirizzato agli adulti, che getta le basi del manga contemporaneo. I maestri da leggere sono, tra gli altri, Yoshihiro Tatsumi, Tadao Tsuge, Takao Saito. Le pagine scorrono velocemente, analizzando i vari generi e sottogeneri del manga e le relative definizioni (shojo, shonen, seinen...), specificando i target di età e sesso del pubblico a cui sono rivolti. 

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    Vengono approfonditi alcuni filoni e certe opere o autori ritenuti importanti; non manca un interessante focus sulle autrici donna e sul loro apporto all'industria del manga. Il lettore può quindi farsi un'idea precisa dell'evoluzione del manga fino ai nostri giorni, scoprendo particolari che a molti sfuggono, come il motivo dei famosi occhi grandi, anziché "a mandorla", dei personaggi. Ma non ve lo sveliamo, rovineremmo la sorpresa.

     

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    Pellitteri, sociologo dei media e dei processi culturali, affronta poi un tema inedito, cioè la fruizione di questi fumetti: da riviste e albi i lettori giapponesi, soprattutto i più giovani, stanno passando al supporto elettronico. Al di là della diversa esperienza tattile, la differenza tra cartaceo e digitale è anche dal punto di vista visivo e del tempo di lettura, poiché si passa da uno sguardo incentrato sulla pagina intera, con la sua architettura, allo scorrere veloce delle vignette su di un piccolo schermo. 

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    Prepariamoci ad avere nuovi prodotti pensati appositamente, poiché in Giappone la nuova frontiera del manga è già oggi il digitale, con piattaforme online che fatturano milioni di euro. Anche in Italia lo smartphone ne sta agevolando la circolazione, va tuttavia rimarcato che si tratta spesso di copie pirata: degli appassionati prendono dai mercati stranieri i titoli di più recente uscita, li traducono e li diffondono attraverso siti internet gratuiti, in anticipo rispetto alla distribuzione in edicola e libreria.

     

     Una pratica che procura un danno agli editori e ai mangaka, tanto che alcuni di essi l'hanno stigmatizzata pubblicamente.

     

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    2. PERCHÉ I MANGA HANNO CONQUISTATO I NOSTRI RAGAZZI

    Walter Veltroni per www.corriere.it

     

    Nell’ufficio in cui ho incontrato tante volte Enzo Biagi, al primo piano della libreria Rizzoli in Galleria a Milano, ora c’è il reparto dedicato ai fumetti manga. In tutte le grandi librerie, ciascuno può verificare, cresce la dimensione attribuita all’esposizione di una quantità infinita di queste storie disegnate che nascono in Giappone e in Corea. Esistono pubblicazioni manga per ogni gusto: ogni sport, ogni avventura, ogni scelta sessuale. 

     

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    Ci sono la Divina Commedia Manga e l’opera omnia di Lovecraft. I librai, eroi della cultura, raccontano che il fenomeno ha conosciuto un’impennata in questi mesi, che i loro punti vendita sono affollati da ragazzi di quattordici o quindici anni che, approfittando anche del basso prezzo, ne comprano molti e spesso. Alcuni direttori di libreria mi hanno detto che il settore ormai arriva a costituire quasi il trenta per cento del loro fatturato.

     

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    È un male, è un bene? Queste pubblicazioni hanno ovviamente una doppia caratteristica: si leggono, per noi occidentali, al contrario e i fumetti richiedono che si vada da destra a sinistra. Le storie sono sempre intrise di una violenza parossistica e perciò irreale ma c’è chi scorge, nella struttura narrativa, una critica ai modelli formativi giapponesi fondati esclusivamente sull’agonismo sociale e, in generale, una sollecitazione alla dimensione comunitaria come risposta alla società violenta che viene evocata e sublimata.

     

     

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    La rivista Wired ha scritto di uno di questi fumetti: «Il “gioco” di Dead Tube, manga di Mikoto Yamaguchi e Tota Kitakawa, riposiziona l’intento critico per aggiornarlo ai tempi dei social (edizioni J-Pop).

     

    Un sito web permette agli utenti di caricare video dai contenuti violenti ed espliciti. Ogni settimana, chi accumula più visualizzazioni ha l’opportunità di vincere 10 milioni di yen.

     

    Ma chi perde è costretto ad assumersi la responsabilità, il costo e la pena di qualsiasi danno o crimine compiuto dal vincitore. Così, quando il timido studente Machiya e il suo club scolastico di cinefili si ritrovano coinvolti nel concorso, si rendono ben presto conto che l’escalation verso la violenza e la perversione sono inevitabili. La critica si concentra sulla ricerca della fama, a tutti i costi, sui social network».

     

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    È in fondo positivo che dei ragazzi varchino, spesso per la prima volta, la soglia di ingresso di una libreria. Cominceranno dai manga e forse — ma i librai dicono che già è così — scopriranno per questa via altre storie, altri testi, altri paesaggi. Ma questa considerazione sul fenomeno manga, in atto da tempo ma ora esploso, si salda alla registrazione del successo planetario della serie coreana Squid Game , un vero fenomeno, e alla passione per la musica K-pop. A Roma, a Campo de’ Fiori, i ragazzi si ritrovano la sera per bere Jimin Coffee, una bevanda ispirata a una omologa coreana, e ballare sulle note della musica di una boy band di quel Paese, i Bts. I quali, peraltro, cantano rigorosamente in inglese. Un loro brano, Dynamite, ha più di un miliardo di ascolti su Spotify. Un miliardo.

     

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    Forse su questo vale la pena di riflettere. Nell’immaginario delle generazioni precedenti il riferimento principale erano gli Stati Uniti. I loro spazi, i loro linguaggi, la loro visione del mondo — conquista e opportunità — hanno informato sogni e riferimenti di generazioni che hanno associato quel mondo, con le sue icone, all’evoluzione della libertà individuale e collettiva. 

     

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    Il jazz, Americana di Vittorini, M.L.King, Bob Dylan... Ma anche l’America, nel grande flusso dei suoi segni , non risparmiava la violenza. Quella vera, dei bombardamenti al napalm o degli assassini politici e quella cinematografica di Rambo o delle previsioni catastrofiche del futuro. La violenza occidentale non è migliore di quella orientale. 

     

    Ciò che è migliore è l’idea che la democrazia e la libertà sono sempre preferibili a qualsiasi sistema autoritario, di ogni colore. Quell’idea gli Stati Uniti hanno presidiato sempre, a partire dalla loro magnifica Costituzione per proseguire con le croci bianche in Normandia o a Nettuno. Quando non l’hanno fatto, come in Vietnam, hanno trovato dentro di sé gli anticorpi per reagire ed emendarsi.

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    Non dobbiamo aver paura del Vento d’Oriente. Né pensare a improbabili censure. D’altra parte la globalizzazione ha allargato i confini del conoscibile e ha fatto entrare altre culture a contatto con la nostra. 

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    Non è un male, se sapremo presidiare anche di fronte a creature occidentali, come i social, i valori fondamentali del nostro vivere civile: il pluralismo, il rispetto dell’altro da sé, il rifiuto della guerra e del terrorismo come strumento di regolazione dei conflitti. Il dubbio contro l’odio, il dialogo contro la violenza. Non è scontato che tutto questo sia certo, nel tempo di caos che viviamo.

     

    Mai dare per scontata la libertà.

     

    Non ho un giudizio definitivo sul fenomeno culturale in corso. Forse mi inquieta, ma non mi indigna. Non sempre il passato che abbiamo conosciuto è migliore del presente. Se i Camaleonti non erano peggiori di Luciano Tajoli, forse i Måneskin non sono peggiori dei Camaleonti.

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