DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Letizia Tortello per “la Stampa”
«Ora sì che ha un bel colore, eh? Molto ma mooolto meglio di prima». Il dottor Miroslav Djordjevic si fa largo tra le bende e le garze innervate di sanglue. Spacchetta i lembi di pelle di quella che una vagina fatta e finita ancora non è, ma entro un'ora e mezza vedrà la luce, dopo quattro ore di chirurgia. Da Belgrado vuole fare la storia. Sorride, decisamente compiaciuto, ai quattro assistenti più anestesista che gli stanno attorno come un Presepe della creazione genitale. Il paziente non è più uomo.
Giace completamente addormentato sotto i nostri occhi, braccia e gambe aperte, il volto coperto dal lenzuolo verde. Si intravedono solo i lunghi capelli rossi raccolti in una coda. È ungherese, ha 22 anni, lo chiameremo Fabian. È arrivato qui nella capitale serba a terminare il suo viaggio per diventare donna, come una liberazione. Il corpo morto, quel che resta dell'organo genitale maschile, è in un cestino, i testicoli sono stati inviati al laboratorio per i controlli di rito.
SALA OPERATORIA MIROSLAV DJORDJEVIC
Al secondo piano dell'ospedale St. Medica, il professor Djordjevic, 57 anni, allievo della rinomata scuola serba del luminare Sava Perovic e oggi uno dei massimi esperti al mondo delle tecniche del cambio di sesso, si giostra tra due sale operatorie. «Non ho un attimo di tregua fino a fine anno. Nel prossimo mese e mezzo opererò 35 pazienti - spiega -. Portiamo a termine tra i 150 e i 200 interventi l'anno». Non l'ha fermato nemmeno il Covid. Nella Serbia autoritaria di Vucic, che voleva vietare addirittura l'Europride e fa i conti con venti di omofobia, la stanza di questo chirurgo ricostruttivo urogenitale sembra uno Stato a parte.
Un'isola dei diritti umani, dove contano solo le persone stese sul lettino. Ungheria, Italia, Qatar, Arabia Saudita, Bosnia, Australia. Dalle sue mani, tra le poche specializzate in falloplastica e metoidioplastica, passano pazienti che arrivano da ovunque. A partire dall'Ue, dai Paesi come il nostro («Ho circa venti richieste l'anno di italiani, dal Nord e dal Sud»), dove i reparti specializzati nella transizione sessuale sono affidabilissimi, ma ancora troppo pochi, le liste d'attesa, le tecniche non tutte sviluppate. O da Stati di religione musulmana, come l'Iran («30-40 casi l'anno, prima delle sanzioni»), dove solo confessare la propria omosessualità è proibito e punito.
In pochi giorni, Djordjevic volerà nell'altra sede di lavoro: il Mount Sinai di New York, una delle migliori strutture sanitarie del pianeta. «Sto due mesi a Belgrado, uno in America», dice. Ha raggiunto il tetto dei seimila interventi in trent' anni, ma il gradino più alto è ancora da salire: «Oggi è possibile eseguire con successo il trapianto di un utero o di un pene. Ma la mia sfida più grande è arrivare al punto in cui un paziente uomo diventato donna sarà in grado di concepire e partorire un bambino, dopo l'impianto di utero e ovaie. Vogliamo essere noi i primi al mondo».
Un tema medico, ma anche etico, destinato senz' altro ad accendere un dibattito. Le statistiche dicono che un uomo su 30 mila non si sente a proprio agio nel corpo in cui è nato, per le donne, una su 100 mila. Chris, Phd colombiano, spiega i passi preliminari per arrivare al miracolo della scienza: «Il professore vuole creare un database mondiale di candidati transgender, in modo da incrociare i trapianti degli organi in base alla compatibilità e a non buttare via quelli sani dopo l'operazione».
Come hanno appena fatto col qui presente Fabian a Belgrado, che ormai è una lei.
«Dai ragazzi, cuciamole l'esterno e poi la svegliamo», dice energico Djordjevic. Sono le sei di sera. Riprende in mano bisturi, aspiratori, pinze e gli altri strumenti con cui darà prima di tutto forma al clitoride, creato con un lembo del glande, poi alle labbra della vulva.
Si avvicina a cinque centimetri, si allontana, scruta. Si perde in silenzi profondi, poi riprende a parlare. «Il bello è che questo clitoride sarà completamente sensibile! Nel novanta per cento dei casi, i miei pazienti riescono ad avere una vita sessuale normale e a raggiungere l'orgasmo».
La Rinascita non è certo una passeggiata. I pazienti vengono tenuti sotto osservazione diversi giorni, una volta tornati a casa resta attivo il contatto col dottore, che spesso si trasforma in profonda amicizia. Ma la strada è talmente tanto tracciata, che sembra pretendere ottimismo: «Un giorno il trapianto di genitali diventerà lo standard, come si fa quello delle mani e del viso». È convinto che non si possano «fermare i diritti, è solo questione di tempo. Né chiese, né governi possono arginare una pulsione naturale».
Nemmeno la politica serba conservatrice a lui ha mai impedito qualcosa. Così come non è entrata nelle sale operatorie di Kiskunhalasi, 100 chilometri a Sud di Budapest, la linea dura anti-Lgbt di Viktor Orban in Ungheria, dove tre anni fa il luminare serbo e la sua prima assistente hanno aperto un reparto di «sex reassignment surgery (SRS)» in un ospedale pubblico. «Il mio è un mestiere incredibilmente emozionale - racconta, con gli occhi accesi -. Aiutiamo i pazienti a sentirsi uguali».
Ogni storia è un universo di vita, sofferenze, ricerca, riconoscimento, redenzione: «Alcuni mi chiamano padre. Il paziente più anziano? Tra i serbi, un 67enne: era professore all'università. Quando è andato in pensione si è sentito libero di operarsi. Non si doveva più nascondere».
I clienti di oggi, però, sono molto più giovani: hanno poco più di vent' anni. Anche se l'incontro indimenticabile è quello con un trans 74enne americano, che dopo la chirurgia da donna a uomo piangeva come un bambino: «Ha urlato "It' s a boy! - racconta l'anestesista -. Se solo i suoi genitori avessero potuto dirlo alla nascita avrebbe vissuto una storia migliore».
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