Andrea Pugliese per gazzetta.it
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Una vittoria piena di cose. Dove dentro c'è l'orgoglio della rivincita, la voglia di mettersi in mostra agli occhi di Mourinho e il rammarico per il drammatico secondo tempo di Manchester. La Roma stavolta supera lo United per 3-2 grazie alle reti di Dzeko, Cristante e del giovane Zalewski (occhio, è un talento), tutte giunte nella ripresa. E per un po' ha anche sperato nella clamorosa remuntada, quando sul 2-1 De Gea ha piazzato una serie di interventi assolutamente decisivi.
A portare lo United in salvo è invece stato ancora una volta Cavani, autore di una doppietta, esattamente come all'andata. Il suo, evidentemente, è un conto aperto con la Roma, visto che con i due di ieri sono ben 13 i gol segnati in carriera ai giallorossi. A Fonseca e i suoi ragazzi resta comunque l'orgoglio di aver dimostrato di potersela giocare davvero alla pari. Anche se con quello, appunto, c'è anche un pieno di rammarico difficile da digerire.
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ANCORA CAVANI— Fonseca si schiera con il 4-1-4-1 con Mancini in mediana, schierato davanti alla difesa. Solskjaer rispetto all’andata lascia invece fuori Lindelof, McTominay e Rashford, buttando dentro Bailly, van de Beek e Greenwood. La partenza della Roma è buona e se fosse arrivato anche il gol in quel primo quarto d’ora in cui i giallorossi hanno spinto forte forse sarebbe stata una partita diversa. Ed invece De Gea è subito strepitoso a dire di no a Mancini da due passi, poi i tentativi - tutti pericolosi - di Mikhitaryan, Pellegrini e Pedro sono finiti fuori. Esaurita un po' la scarica nervosa, ha iniziato a venir fuori lo United, anche grazie alla maggior qualità nel palleggio di gente come Pogba, Fred, van de Beek e Bruno Fernandes. Curioso, però, che a costruire il primo pericolo sia Cavani ma su errore in uscita di Smalling, con il pallonetto dell’uruguaiano che scheggia la parte alta della traversa.
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Cavani però da lì in poi diventa quasi incontenibile e se sul primo tentativo in corsa Mirante gli dice di no in angolo, sul secondo (39') il portiere giallorosso si deve piegare, ma non senza colpe. Prima Smalling si era dovuto arrendere all’ennesimo infortunio della sua stagione (al suo posto il giovane Darboe, bravo, con Mancini riportato al centro della difesa) e Pellegrini era stato ancora pericoloso dal limite (con Dzeko egoista, l’avesse servito prima...), subito dopo De Gea era ancora perfetto su Mkhitaryan. Dall’altra parte, invece, un tentativo di Greenwood finito fuori e un tiro a giro di Bruno Fernades che ha fatto gridare al gol. Più in generale la Roma ci ha provato con rabbia e voglia, ma la differenza di qualità in mezzo al campo a tratti è sembrata fin troppo marcata.
LA RIVINCITA— Come nel primo tempo, la Roma parte forte anche nella ripresa. Stavolta, però, i risultati sono completamente diversi. Prima Brych non dà un clamoroso rigore per fallo di mano di Maguire (considerato involontario, dopo un colpo di tacco), poi la Roma riesce a pareggiare e addirittura a passare in vantaggio: il pari arriva con un colpo di testa ravvicinato di Dzeko, il 2-1 con un tiro improvviso di Cristante che finisce sotto il sette. È il momento migliore dei giallorossi, che vanno vicino altre due volte al gol che avrebbe potuto riaprire tutto. Ma in entrambe le occasioni De Gea è magistrale, prima con una doppia parata su Dzeko e Pedro e poi respingendo (con fortuna) il tocco a botta sicura di Pellegrini.
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Dall’altra parte, invece, è Greenwood a sfiorare il gol con un elegante scavetto, mentre a chiudere qualsiasi velleità di rimonta giallorossa ci pensa ancora una volta Cavani, che di testa brucia Mirante su assist di Bruno Fernandes. La Roma però ci prova lo stesso a vincere e ci va anche vicino con il palo di Mkhitaryan. Poi c’è ancora spazio per l’esordio assoluto di Zalewski. Ed è proprio lui a siglare il meritato 3-2 con un tiro al volo (deviazione di Telles) su cross di Santon. Finisce così, con la Roma a festeggiare una vittoria di prestigio ed a rammaricarsi ancora di più per quel maledetto secondo tempo di Manchester.
UNAY EMERY
Chiamatelo pure Mr. Europa League, perché per Unai Emery questa competizione è uno scenario familiare come il giardino di casa sua. Con lo 0-0 di oggi del Villarreal contro l’Arsenal l’allenatore basco si è qualificato per la quinta volta in finale.
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Già dalla prima partecipazione, nel 2009/2010, Emery ottenne risultati notevoli, arrivando ai quarti con il Valencia. Fu sempre con i Ché che si qualificò alla prima semifinale, solo un anno dopo. A seguire, il basco è andato anche oltre ed ha conquistato quattro finali in quattro tentativi consecutivi: le tre vinte di fila con il Siviglia fra il 2014 e il 2016 e quella persa con l’Arsenal di fronte al Chelsea nel 2019. Ed oggi, alla prima stagione alla guida del Villarreal, l’ennesimo prestigiosissimo traguardo.
A una sola partita dal traguardo, è difficile credere che Emery non pensi ad un record che, data la sua efficacia in questa competizione, sembra ormai a tiro. Se vincesse questo torneo, infatti, l’allenatore del Villarreal solleverebbe la quarta Europa League della carriera, diventando il più vincente della storia della competizione a spese di Giovanni Trapattoni, campione in due occasioni con la Juventus e in una con l’Inter quando ancora si chiamava Coppa UEFA.
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Emery, in realtà, si è portato avanti e un record del Trap l’ha già superato un mese fa. Contro la Dinamo Kiev, quando ha diretto la sua gara numero 101 nella competizione (qualificazioni comprese) ed è diventato l’allenatore con più partite in Europa League, lasciandosi alle spalle proprio Trapattoni a 100. Oggi è già arrivato a 106 incontri, nei quali ha sommato 66 vittorie, 27 pareggi e solo 13 sconfitte. È inoltre imbattuto in questa edizione, con 12 vittorie e due pareggi col Maccabi Tel Aviv, nei gironi, e contro l'Arsenal nella semifinale di ritorno.
Il Manchester United nel cammino
Dopo aver eliminato la sua ex squadra, Emery troverà di fronte a sé un'altra inglese: il Manchester United. Sarà la prima finale di prestigio del Villarreal: il submarino amarillo e l'allenatore spagnolo sono pronti a scrivere la storia del club. D’altronde, giocare in Europa League, per Emery, è come farlo nel giardino di casa sua.
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